la storia

Un incendio ha devastato la sua casa, ma lui: «Non ho paura di crolli e roghi»

Aniello Giordano, scampato al rogo, vive al pianterreno dello stabile di Porta Rateprandi nonostante i sigilli della Procura

«Passate sotto la rete, ma attenzione, che vi fate male». Sono le tre del pomeriggio, e sotto l'acqua che si porta dietro i residui di immondizia e le bottiglie rotte di Porta Rateprandi, Aniello Giordano, scopa alla mano, cerca di dare una sistemata al locale al pianterreno in cui vive. Venerdì sera si era addormentato presto, davanti a una catasta di legno, accesa per vincere il freddo di un tugurio dove mobilia abbandonata e pezzi di memoria, convivono da chissà quanto tempo, nonostante i sigilli posti dalla Procura ad un edificio che ha subìto già due crolli a distanza ravvicinata. Si è salvato (e con lui due anziani) perchè lo ha soccorso la polizia, i vigili del fuoco e i ragazzi del quartiere, che lo conoscono come Aniello o maiorese.

«Qui mi sanno tutti. Sono passati a vedere che le fiamme si sono mangiate tutto, entrate». La rete che dovrebbe vietare l'ingresso nello stabile che separa l'ultimo tratto di Porta Rateprandi da via Tasso, è tagliata in due punti: all'altezza dei gradoni della Lama e dinanzi l'ingresso di un portoncino su cui spicca ancora il decreto di sequestro firmato il 20 settembre 2010.

«Vedete, è tutto bruciato», dice Aniello mentre con lo sguardo accarezza le sue cose: peluche impolveriti, vecchi orologi di plastica deformati dal fuoco, un quadretto della Madonna, una bacinella gettata tra attrezzi di lavoro, una rete e tavole di legno. Alle pareti, una cartolina di Mallorca saluta da un calendario pasquale, mentre dirimpetto il lato b di una modella di Playmen sovrasta un autoritratto del 63enne che, per 24 anni, ha lavorato al Comune come netturbino. Parla poco, Aniello. Punta dritto agli occhi, si gira intorno, tra quei vicoli dove c'è chi cammina guardandosi le spalle, nascosto nel cappuccio di una felpa. Perchè nel dedalo che dista una manciata di metri dalla largo Campo della movida alcolica ed adolescente, lo spaccio è di casa, come l'abitudine di lanciare i sacchetti di spazzatura dai balconi.

[[(Video) Porta Rateprandi tra degrado e sigilli]]

«Siamo diventati il simbolo del degrado, che vergogna», sbotta una signora che passa mentre Aniello fa spallucce e continua a spazzare. «Io non ho paura a stare qui, non me ne importa dei crolli - dice - Abusivo? Questa è casa mia da sempre». Eppure ci sono i sigilli. Eppure c'è una rete. «Non crolla niente più, non vi preoccupate. Qui ci stiamo in tre, io sotto e due sopra», spiega indicando il secondo ingresso dello stabile, ubicato proprio sotto la finestra del soprintendente. «Vedete, non mi è rimasto quasi più niente. C'è una stufetta, almeno così mi posso riscaldare stanotte».

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Il 63enne non sembra essere rimasto troppo turbato dalle fiamme: «Stiamo bene, io e pure gli altri due che sono andati in ospedale. Stanno già a casa. Adesso speriamo bene, speriamo che il palazzo lo aggiustano. Stamattina sono veduti a vedere dentro che era successo. Hanno promesso che mettono tutto a posto, che adesso ci sistemano». Ma quella che Aniello chiama casa è una specie di discarica affumicata dalle fiamme, senza una finestra, senza un bagno, senza un letto, dove dopo il rogo, fette di cartone e panni arrotolati fanno da giaciglio tra cocci di vecchi posacenere di ceramica e i giocatori di un biliardino ripescato chissà dove. Stretto nel suo giubbino impermeabile blu, Aniello si dà da fare. Non chiede niente. Nessun appello alle istituzioni. Nessun aiuto ai vicini.

Quasi dirimpetto, c'è la chiesa gioiello di Santa Maria de Lama, perennemente chiusa, perennemente soffocata da cumuli di immondizia. «Ci buttano la spazzatura, che ci volete fare. Io invece sto spazzando qua davanti anche perchè sui gradini si scivola». "Ciao Aniè, tutt a post?" grida un extracomunitario trapiantato nel centro storico. L'ex netturbino fa cenno di sì con la testa. Solidarietà tra emarginati, viene da pensare.Per il resto il rione è deserto. Le finestre sono sbarrate. La gente malvolentieri parla. «Voi dite che sono abusivi e non ci potevano stare? Io non so niente - dice a denti stretti una donna che abita a pochi passi da Aniello - E che ne so se qualcuno li aiuta. Stamattina è venuta gente, dice che il palazzo lo rimettono in sesto. Chi erano? Ah, non ho visto».