Uccise madre e sorella De Vivo chiede l’infermità

Per il 32enne di San Severino istanza di abbreviato con perizia psichiatrica Confessò il delitto e disse di aver sentito “voci” che gli dicevano di farlo

MERCATO SAN SEVERINO. Erano i primi di agosto quando Giovanni De Vivo soffocò madre e sorella. Da allora è in carcere, reo confesso, e il giudice delle indagini preliminari ha disposto il giudizio immediato fissando a febbraio l’inizio del processo davanti alla Corte d’Assise. Ma quell’udienza potrebbe non farsi; il difensore Paolo Corsaro ha presentato un’istanza di abbreviato (che in caso di condanna consentirebbe uno sconto di pena) condizionata però a una perizia psichiatrica, perché dalla storia clinica di De Vivo e dalla sua stessa confessione emergono gli elementi di un disagio mentale che potrebbe escluderne in tutto o in parte la responsabilità.

Nell’interrogatorio di garanzia ha spiegato di aver ucciso madre e sorella per “salvarle”, sollecitato da alcune “voci” che continuavano a incalzarlo anche quando, dopo aver strangolato la mamma Antonietta De Santis, tentennava nel togliere la vita alla sorella Deborah. Pure le modalità dell’omicidio sono rivelatrici di una personalità fuori dal comune: De Vivo ha spiegato che non vi era stato alcun litigio a scatenare la sua furia e ha confermato di aver cercato di ammazzare la 24enne Debora a colpi di forchetta prima di capire che non gli riusciva e di soffocarla con un cuscino sedendosi sul corpo. Il medico legale riscontrò sul volto e l’addome della ragazza oltre cinquanta buchi, inferti con una posata che fu trovata piegata lì accanto. Dopo il delitto De Vivo ha poi cercato di uccidersi lanciandosi dal balcone, ma l’appartamento di via Fenizia e Marotta (una traversa di via Cacciatori nei pressi di corso Diaz) è al primo piano e lui stesso ha spiegato di essersi procurato solo escoriazioni e contusioni e di essere risalito per medicarsi. Poi non è più andato via fino all’arrivo dei carabinieri, che gli accertamenti medico legali hanno calcolato in 72 ore dopo l’omicidio. Per tutto quel tempo è rimasto in casa con i corpi senza vita delle due donne.

Che in lui qualcosa non andasse i vicini lo avevano notato. «Era già successo altre volte che fosse necessario l’intervento dei carabinieri – disse dopo il delitto uno degli abitanti della zona – litigi violenti, vetri rotti, urla. È la solita cosa all’italiana dove tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di grave. E infatti è successa la disgrazia». «Tempo fa – raccontò un altro vicino lo vedemmo mentre lanciava dei coltelli dal balcone. Soffriva molto, soprattutto dopo la morte del padre. Eppure se lo incontravi in mezzo alla strada, non avresti mai detto che potesse essere capace di fare tutto questo».

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