Uccise l’amico con il casco I giudici: pena da rivedere 

Francesco Paolo Ferraro condannato a 18 anni per l’omicidio di Dario Ferrara Il processo è stato inviato a Napoli: bisognerà tener conto delle attenuanti

La condanna a diciotto anni di reclusione per Francesco Paolo Ferraro, accusato di omicidio preterintenzionale per la morte del ventunenne Dario Ferrara, colpito con un casco da motociclista, condanna poi confermata in Corte d’Appello, va rivista, perché «i giudici di secondo grado non hanno valutato i motivi attenuanti specificatamente indicati»: lo scrive la Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza d’appello del Tribunale di Salerno a diciotto anni di reclusione, rimettendo il giudizio di secondo grado alla Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Napoli, con la considerazione, in sede di rivalutazione, delle attenuanti generiche non concesse dai giudici in tutti e due i gradi di giudizio e l’annullamento invece delle aggravanti, al contrario valutate nei due processi. Il passaggio giudiziario successivo, con la fissazione di un nuovo processo d’Appello, vedrà pertanto un ricalcolo della pena comminata.
La Corte Suprema ha invece confermato la parte di sentenza relativa all’affermazione di responsabilità di Francesco Paolo Ferraro, 27 anni, accusato di omicidio preterintenzionale e difeso di fiducia dagli avvocati Vincenzo Calabrese e Francesco Aricò, avvalorando «ricostruzioni di ineccepibile rigore logico della Corte territoriale».
Quello che manca nelle due sentenze, invece, a parere delle Cassazione, sono le giustificazioni sul potere discrezionale del giudice, nel momento in cui inquadra il calcolo ben oltre i minimi previsti per il reato. In altre parole, il motivo d’appello della difesa, con un percorso illustrato punto per punto fino alla considerazione delle attenuanti generiche, è stato del tutto ignorato. In questi termini, anche la mancata confessione di Ferraro, che aveva esercitato il suo diritto di difesa dichiarandosi innocente, rientrava pienamente, scrive la Corte di Cassazione, «nell’esercizio del diritto di difesa», che in quanto tali non sono valutabili. Più semplicemente, l’imputato può difendersi come crede, secondo le sue scelte.
La Corte suprema ha preso anche in considerazione le aggravanti che hanno fatto aumentare la pena da quattordici a diciotto anni, “cancellando” l’assistenza dell’imputato alla vittima, l’interesse per le sue condizioni e la presentazione alle forze dell’ordine il giorno dopo, «tutti elementi che dovevano essere apprezzati positivamente», secondo la Corte Suprema, con una pena più mite. Ancora: non è ravvisabile la premeditazione, in quanto manca la motivazione perché il casco si usa solitamente per la guida di motocicli e quindi non è un’arma preordinata; c’era stata una precedente aggressione; e l’imputato era costernato e incredulo per l’accaduto.
Francesco Paolo Ferraro era stato condannato in primo e secondo grado con la sentenza che riconosceva in pieno le ricostruzioni della Procura di Nocera Inferiore. I giudici della Corte d’Assise di Salerno emisero la sentenza a fronte della richiesta pena a ventuno anni fatta in aula dal pm Giuseppe Cacciapuoti, con la successiva conferma in appello, senza la richiesta della difesa di riaprire il dibattimento.(re. pro.)
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