Pagani

"Tu mi tradisci!": tortura la moglie con plastica bollente nelle parti intime

Il marito per le violenze dovrà scontare oltre cinque anni di reclusione.

PAGANI . È stato condannato alla pena di cinque anni e due mesi per aver seviziato, sequestrato e picchiato la sua donna, sua moglie, il marocchino residente a Pagani finito sotto processo e in arresto dopo la fuga di salvezza della vittima.
Il reo, C.K. trentatreenne, era accusato di lesioni gravissime, sequestro di persona e maltrattamenti consumati nei confronti della moglie, con la condanna emessa dal giudice monocratico del Tribunale di Nocera Inferiore. Il processo seguiva la denuncia sporta dalla moglie dell’uomo, che aveva raccontato la sua segregazione in una casa divenuta luogo di torture, con le catene alla porta e le finestre sprangate, finendo vittima di angherie e violenze, fino alle sevizie nelle parti intime con liquido bollente versatogli addosso dal marito per comportamenti passionali, presunti tradimenti. «Dove le zone erogene colpite- scriveva il gip del tribunale di Nola Giuseppe Pepe, inizialmente titolare del fascicolo nella fase iniziale dell’inchiesta- simboleggiano la femminilità che l’indagato voleva aggredire per punire l’infedeltà, vera e presunta, della donna nei suoi confronti». Il 33enne marocchino C.K. fu arrestato e tradotto al carcere di Poggioreale, col successivo trasferimento degli atti alla procura e al gip di Nocera Inferiore per competenza territoriale, data la pertinenza e il luogo, Pagani, dove tutto era avvenuto. Il fascicolo della Procura partiva proprio dal racconto della vittima, raccolto dai carabinieri insieme a due decisive testimonianze incrociate:
«L’ultima volta che sono uscita con lui era aprile per fare la spesa- spiegò la donna- Nel periodo in cui mi ha chiusa in casa l’ho raccontato a mia mamma e lei mi ha detto di scappare altrimenti lui mi avrebbe ucciso». Il giorno della tortura con la plastica bollente, nel maggio 2016, era rievocato in passaggi precisi.
«Alle sette e mezza di sera mi ha chiesto di spogliarmi nuda e di confessare se avevo relazioni, io ho negato. Mi ha insultato, ha iniziato a picchiarmi dicendo che ero una prostituta, mi ha preso a schiaffi, pugni, calci, morsi su piede e spalla, fino a colpirmi in viso con una testata e mi ha rasato i capelli. Poi mi ha colpito con un calcio sotto la gola forse mentre ero seduta». Nelle mire dell’uomo, in una casa trasformata in luogo di segregazione, c’erano le relazioni pregresse di lei, il suo precedente lavoro a Dubai e fantomatici appuntamenti in casa con altri uomini, col marito fuori per lavorare nelle periferie paganesi. La tortura arrivò alla punizione estrema, un segno incandescente per monito, con l’intenzione di ucciderla. La fuga arrivò al momento propizio.

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