Gli uomini e i tempi

Trump, il presidente che spaventa l’umanità 

Casa Bianca narcisista abitata da un inquilino irresponsabile

A giugno del 2016, Usa Today ha pubblicato l’elenco delle controversie legali di Trump. È risultato che, per i suoi affari, era stato coinvolto in circa 3.500 cause civili e penali negli Stati Uniti. A giugno del 2015, il magnate aveva diramato un comunicato nel quale affermava che una compagnia specializzata aveva valutato il suo patrimonio circa 8,737 miliardi di dollari, più del doppio di quanto sosteneva Forbes, che subito definiva tali stime «un’esagerazione al 100%». Trump non si è scomposto, nonostante il balletto delle cifre, ha ammesso di aver volutamente esagerato con i numeri, un modo di procedere rivelatosi una panacea per i suoi affari. A questo punto, sembra legittimo chiedersi se stia operando anche in politica in questo modo così disinvolto. Gestire la verità fattuale profittando, con discutibile abilità, della labile linea di demarcazione tra realtà virtuale e attuale non può essere considerato un merito per un leader mondiale.
Nella postmodernità false notizie ed evidenti bugie occupano una larga fetta dello spazio elettronico determinando un effettivo e pericoloso divorzio dalla reale esperienza umana e da ogni altra logica, consumando una notevole quantità di energia mentale che, invece, andrebbe utilizzata nel sottoporre alla berlina chi fa ricorso a questi procedimenti. Trump ha vinto le elezioni perché ha saputo orientare a proprio favore i sentimenti antiestablishment di quanti si sentivano insicuri per le incertezze dell’economia; ha intercettato le paure di chi si vedeva minacciato da automazione e delocalizzazioni proponendo ricette isolazioniste anti-globalistiche. Egli si è ispirato a Reagan e, invece di comunicare un concreto programma, ha ripetuto il suo mantra: “sono un imprenditore, mi sono fatto da solo, potete fidarvi di me, ho gli strumenti necessari per guidare il paese”. Perciò è interessante considerare le sue esperienze di formazione e il suo bagaglio etico per costatare se gli elettori hanno saputo scegliere bene su chi riporre la loro fiducia.
Dopo aver aiutato il padre, impegnato a costruire alloggi nei quartieri più poveri di New York, negli anni Settanta, egli ha preso le redini dell’impresa familiare trasformandola in un grande impero. Personalmente mai andato in bancarotta, tra il 1991 e il 2009 l’hanno dichiarata per hotel e casinò di proprietà. Al settimanale Newsweek, nel 2011 ha sostenuto: “Ho sempre giocato con le leggi sulla bancarotta – vanno molto bene per me”, aggiungendo: “Ho utilizzato le leggi di questo paese per pagare i miei debiti... Sapete, è come al The Apprentice”. Questo modo di concepire l’economia trova riscontro in alcuni libri da lui scritti con Robert Kiyosaki, imprenditore nippo-americano nato e cresciuto nelle Hawaii. Nel volume Consigli per vincere dall'imprenditore più “cattivo” d’America, titolo ed aggettivo rivelativi della personalità, il presidente comunica i segreti del suo emergere, argomenti riproposti in Perché vogliamo che tu sia ricco. Agli aspiranti tykoon viene raccomandato di non arrendersi mai, aggiungendo “Pensa in grande e manda tutti al diavolo nel lavoro e nella vita”. È il modo col quale Trump ha costruito un impero registrando sconfitte ma risollevandosi, pronto a combattere senza esclusione di colpi; educazione informale proposta per la scalata al successo, uno squarcio illuminante del suo stile sempre pronto ad andare controcorrente per difendere i suoi interessi.
Nel descriversi ha asserito: “Quello che si vede sui media è un personaggio estroverso, fiducioso, qualche volta insolente ma normalmente onesto”, continuando: “Uno dei motivi per cui la gente mi ama è che sono schietto, ed è anche uno dei motivi per cui mi odiano”. I segreti del successo negli affari per i suoi emuli dovrebbero costituire un’inestimabile guida, anche se fanno intravedere un comportamento compulsivo. Infatti, Trump non riesce a trattenersi dal far conoscere al mondo quel che pensa sintetizzandolo in 140 caratteri scritti rigorosamente in maiuscolo. Pensieri e intenzioni del momento, i suoi tweet scaturiscono da una deliberata strategia volta a disorientare, prassi che persiste anche se il 15 gennaio il direttore uscente della Cia, John Brennan, ospite di una trasmissione televisiva, ha asserito che “la spontaneità non serve a proteggere la sicurezza nazionale” e il presidente dovrebbe “comprendere le implicazioni e l’impatto delle dichiarazioni”, raccomandazioni disattese da chi ritiene praticabile la tattica di gettare fango sugli avversari invece di rassicurare la popolazione, cercare di allentare la tensione, evitare inutili polemiche. Trump dà la sensazione che ami fare il contrario. Anche in politica estera ha mostrato la stessa avventatezza quando al Wall Street Journal ha dichiarato che avrebbe potuto mettere in dubbio il principio della “Cina unica”, per Pechino non negoziabile.
Probabilmente nella sua logica d’imprenditore senza scrupoli ha minacciato una rottura per avere un vantaggio in futuri negoziati, tattica molto discutibile, che conferma i sospetti di chi ritiene Trump non in grado di comprendere l’impatto e valutare le conseguenze delle sue affermazioni, come ha dimostrato quando ha giudicato obsolescente la Nato e descritto come imminente la disgregazione dell’Europa.
Una Casa Bianca così narcisista, che persegue uno stile sopra le righe, rischia di rendere ancora più labile il suo collegamento con la realtà mondiale. Probabilmente chi, per vocazione o funzioni, conserva una sana attitudine per una chiara analisi deve rivestirsi di particolari ed urgenti responsabilità e bloccare il procedimento di comunicazione messo in atto per evitare che l’opinione pubblica statunitense continui ad essere condizionata dal coacervo di illusioni, farse immaginifiche, credenze compensatorie di un individuo auto-celebrativo. È una situazione che trova scarso riscontro all’estero e va superata per evitare che commenti circa un re che appare sempre più nudo diventino un coro.
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