Truffe alle finanziarie con documenti falsi Chieste 4 condanne

Nel mirino un gruppo che clonava le carte d’identità “Rubati” i dati a molti operai di aziende di Battipaglia

Sono state chieste quattro condanne per la truffa alle società finanziarie che avrebbe garantito agli autori del raggiro prestiti per oltre 300mila euro, ottenuti utilizzando documenti d’identità clonati. Ieri mattina il pubblico ministero Giancarlo Russo ha chiesto 5 anni di pena per Giuseppe Radosta e Carmine Barrella (rispettivamente di Agropoli ed Eboli), 4 anni per Maurizio Galiano di Battipaglia e 3 anni e mezzo per Vito De Nigris di Eboli. Il giudice dell’udiezna preliminare Donatella Mancini deciderà il 10 aprile, chiudendo il rito abbreviato che consente uno sconto di pena fino a un terzo. Per gli altri tre coinvolti (Francesco Manzo di Salerno, Mario Manzo di Montecorvino Pugliano e Pasquale Alfieri di Capaccio) è in corso invece il procedimento ordinario.

I capi d’imputazione snocciolati ieri dal pm vanno dall’associazione a delinquere all truffa, all’uso di atti falsi e (con eccezione di De Nigris) al riciclaggio di denaro ottenuto con attività illecita, cioè con il raggiro alle società finanziarie a cui si presentavano codici fiscali e buste paga di persone ignare. L’inchiesta, sfociata il luglio scorso in sette arresti, partì dalla denuncia di un operaio ai carabinieri di Montecorvino Rovella. L’uomo lamentò di aver ricevuto avvisi di pagamento per un prestito che non aveva mai richiesto. E fu analizzando il suo caso che i carabinieri scoprirono il sistema del “furto di identità” messo in piedi tra Piana del Sele e Picentini. L’organizzazione riproduceva tutti i documenti necessari per la richiesta di prestito: dalla copia del tesserino di codice fiscale a quella della busta paga. I falsari sostituivano le foto originali con quella di “teste di legno”, che si prestavano a fare da complici per una ricompensa di mille euro. Clonata l’identità della vittima, il sodalizio inoltrava on line alle società finanziarie la pratica per chiedere un prestito. Le cifre non erano molte alte, al massimo 15 mila euro, chiesti in genere con la causale di una ristrutturazione della casa. Poi, con gli stessi documenti falsi, si apriva un conto corrente in banca, che veniva chiuso subito dopo l’erogazione del prestito.

Gli episodi sarebbero stati ventisette, in maggioranza con dati di operai impiegati nelle fabbriche dell’area industriale di Battipaglia. Ad aprile, dopo le arringhe dei difensori Agostino De Caro e Antonio Boffa, la sentenza del giudice sugli abbreviati.

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