il dibattimento

Truffa, Amato junior si difende

Deposizione in aula: «Non ho mai visto il documento fasullo»

«Quel documento falso io non l’ho mai visto». Giuseppe Amato jr parla per circa un’ora davanti al giudice Ennio Trivelli che deve decidere sulle accuse di falso e truffa rivolte a lui, allo zio Antonio Amato e ad Alfio Barbato, dipendente del pastificio. Ricostruisce così la procedura che nel 2010 consentì all’azienda di famiglia di ottenere dalla Banca nazionale del lavoro due linee di fido, per 463mila e 256mila euro, con cui avrebbe coperto precedenti sconfinamenti e ripianato parte di un’esposizione debitoria che ammontava a 2 milioni e 800mila. Quelle ulteriori aperture di credito sarebbero state concesse, secondo l’accusa, dopo che l’azienda presentò alla Bnl un documento dell’Agenzia delle entrate poi risultato fasullo, che attestava il diritto a un rimborso Iva del terzo e del quarto trimestre 2009. Su quel rimborso si sarebbe fondata la cessione del credito, formalizzata l’11 giugno di sei anni fa dinanzi al notaio e da questi notificata all’Agenzia delle entrate. In realtà il rimborso dell’imposta era stato bloccato con un provvedimento di fermo amministrativo, comunicato dall’Agenzia un mese prima che gli Amato presentassero la documentazione alla banca, che si è costituita parte civile accusando gli imputati di truffa.

Assistito dall’avvocato Mariano Salvio, Peppino Amato ha dichiarato di avere seguito l’iter per la concessione del credito soltanto nella fase embrionale. «Sono andato in banca con gli altri per sondarne la disponibilità – ha spiegato – Appurato questo, per me è finita lì. Il resto della procedura non l’ho seguito e anche la cessione del credito non è stata firmata da me, ma dall’amministratore delegato Antonio Amato». Con la sua deposizione si è chiusa l’istruttoria; si tornerà in aula a febbraio, quando accusa e difesa trarranno le conclusioni. (c.d.m.)

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