Truffa alla Bnl, Amato jr rischia la condanna

Il pm ha chiesto sette mesi di pena per lui e il dipendente Barbato e l’assoluzione dello zio Antonio

Rischia una condanna a sette mesi Giuseppe Amato jr, accusato di una presunta truffa alla Bnl per un prestito ottenuto presentando all’istituto di credito un documento che attestava, in favore della Amato spa, un credito con l’Agenzia delle entrate poi risultato inesistente. Ieri il pubblico ministero ha chiesto la stessa sentenza per lui e per Alfio Barbato, dipendente dell’azienda pastaia e, secondo l’accusa, riferimento per le pratiche bancarie. Ha invece proposto l’assoluzione per Antonio Amato, difeso dall’avvocato Silverio Sica, che ieri ha reso dichiarazioni spontanee spiegando di non aver mai saputo nulla della vicenda. «Mi occupavo di marketing, per il resto in azienda non contavo nulla. Decideva tutto mio padre (il cavaliere Giuseppe Amato, ora deceduto ndr) e io mi limitavo a obbedire, anche quando non ero d’accordo».

La vicenda risale al 2010, quando il pastificio ottenne dalla Banca nazionale del lavoro due linee di fido, per 463mila e 256mila euro, con cui avrebbe coperto precedenti sconfinamenti e ripianato parte di un’esposizione debitoria che ammontava a 2 milioni e 800mila euro. Quelle ulteriori aperture di credito sarebbero state concesse, secondo l’accusa, dopo che l’azienda presentò alla Bnl un documento dell’Agenzia delle entrate poi risultato fasullo, che attestava il diritto a un rimborso Iva del terzo e del quarto trimestre 2009. Su quel rimborso si sarebbe fondata la cessione del credito, formalizzata l’11 giugno di sette anni fa dinanzi al notaio e da questi notificata all’Agenzia delle entrate. In realtà il rimborso dell’imposta era stato bloccato con un provvedimento di fermo amministrativo, comunicato dall’Agenzia un mese prima che gli Amato presentassero la documentazione alla banca, che si è costituita parte civile e ora chiede il risarcimento del danno.

Anche Giuseppe Amato jr ha provato nelle scorse udienza a difendersi. Assistito dall’avvocato Mariano Salvio, ha spiegato di non aver mai visto il documento ritenuto fasullo. «Sono andato in banca con gli altri per sondarne la disponibilità – ha detto – Per me è finita lì, il resto della procedura non l’ho seguito». Ieri è però giunta per lui e Barbato la richiesta di condanna, su cui il giudice Ennio Trivelli deciderà a marzo. (c.d.m.)

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