Trasfusione fatale, quattro condanne

L’appello conferma la sentenza per medici e infermiere del Ruggi: non si accorsero di avere scambiato le sacche di sangue

Poteva essere evitata la morte di Gerardo Fasolino, che nel 2009 giunse al Ruggi d’Aragona per sottoporsi a un intervento a un’anca e ne uscì cadavere dopo una trasfusione sbagliata. Poteva essere evitata – hanno stabilito ieri i giudici della Corte d’appello – se medici e infermieri fossero stati più accorti nel verificare le sacche di sangue, e se non avessero sottovalutato i primi sintomi che segnalavano una incompatibilità tra il gruppo sanguigno del paziente e quello che gli veniva somministrato con la trafusione.

Era il luglio di sette anni fa quando il 75enne di Camerota fu ricoverato nel reparto di Ortopedia. Ieri la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado per concorso in omicidio colposo, che ha condannato a 1 anno e 6 mesi il medico ortopedico Luigi La Bella, a 1 anno e 3 mesi il collega Ernesto Prisco e l’anestesista Stanislao Perciato e a 1 anno e 2 mesi l’infermiere Michele De Fina. Il processo ha ricostruito che l’operazione chirurgica era andata bene, ma nella successiva trasfusione le sacche con il gruppo sanguigno del pensionato furono scambiate con quelle di un altro paziente, registrato con lo stesso cognome ma ricoverato in un altro reparto, quello di Cardiochirurgia. L’incompatibilità dei gruppi scatenò una “Abo”, una reazione immunitaria che portò rapidamente Fasolino alla morte e che per i giudici fu frutto di un concorso di varie reponsabilità. All’infermiere De Fina (difeso dagli avvocati Paolo Carbone e Lucio Basco) è stato contestato di aver portato la sacca senza averla controllata con il lettore ottico, che avrebbe rilevato la discrasia tra i dati del paziente e quelli del plasma. La condotta più grave, secondo la ricostruzione fatta in primo grado dal pubblico ministero Giovanni Paternoster, fu però quella del medico La Bella (difeso da Federico Conte) per il quale aveva chiesto una condanna a due anni e tre mesi. «Fece iniziare la trasfusione senza verificare la corrispondenza del gruppo e si allontanò subito dopo, senza vigilare sulla reazione del paziente» ha spiegato il pm nel corso della requisitoria dinanzi al giudice monocratico Ennio Trivelli. Perciato e Prisco (assistiti da Giovanni Sofia e Saviano Campana) intervennero invece dopo che l’anziano aveva manifestato il primo malore, quando era già andato una prima volta in arresto cardiaco e respiratorio. «Avrebbero potuto salvarlo – ha evidenziato il pubblico ministero – invece sbagliarono diagnosi, attribuirono quei sintomi a una perdita di sangue post operatoria e ordinando per questo di procedere a velocità accelerata all’infusione della prima e della seconda sacca, anche stavolta senza che fosse controllata la rispondenza dei dati». L’immissione di altro sangue incompatibile fece precipitare le condizioni del paziente. Tutti gli apparati vitali andarono in arresto e non bastarono i tentativi di salvargli la vita nel reparto di Rianimazione, dove fu portato quando il suo organismo era ormai compromesso.

Per quasi quarant’anni Gerardo Fasolino aveva vissuto in Venezuela. Solo con la pensione era tornato a Camerota, e le difficoltà motorie lo avevano costretto ad operarsi a un'anca. Un intervento che pareva di routine, ma che rivelatosi fatale per quella che per i giudici fu una tragica sequela di errore.

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