Sulle orme di Rossellini alla scoperta di Atrani

Le arcate erose dal vento, il rito dell’aperitivo in piazzetta e le chiesette nel piccolo borgo di pescatori che continua ad affascinare gli stranieri

Gli anni Quaranta stanno per chiudersi. C’è il Neorealismo e si pregusta la Dolce Vita. Nella “menaita” dei pescatori scorre la tradizione arcaica che, unita alle cupole arabeggianti ed alla sinuosità di una costa unica e provocante, sanno ammaliare aristocratici ed intellettuali. E così l’antico borgo di pescatori diventa set privilegiato per una celluloide che tra gossip e sperimentazione, fa discutere riviste patinate e i blasonati Cahier du Cinema. Saranno proprio i critici francesi a parlare di «regione rosselliniana» quando nell’estate del 1948 il regista italiano torna in costiera amalfitana, con Anna Magnani, per girare “La macchina ammazzacattivi”. Prima ancora di dirigere la storia grottesca e favolistica tratta da un soggetto di Eduardo De Filippo, il Maestro aveva toccato i ciottoli della marina e scrutato i volti che popolavano le piazzette per il suo “Paisà” prima, e poi per “Il Miracolo”, secondo episodio del lungometraggio “L’amore”. Due anni dopo, furono la spiaggia e il centro di Atrani la location privilegiata per raccontare la liason tra il diabolico Sant’Andrea ed il fotografo Celestino. Quella che il poeta salernitano Alfonso Gatto battezzò come «bianca città d’un tempo e d’ogni giorno», non ha mai smesso di affascinare cineasti e pubblicitari, che hanno sfruttato un fazzoletto luminoso ritagliato tra mare e montagna, come sipario per raccontare più di una storia. Saranno le arcate erose dal vento. Sarà la piazzetta che ricorda una miniatura d’altri tempi. Saranno i vicoli stretti e tortuosi che sembrano fare a cazzotti con l’arenile che si apre a un mare che è stato troppe volte ingiusto con i suoi abitanti. Fatto sta che Atrani, meta meno battuta delle più glamour Amalfi e Positano, riesce, nei decenni, a custodire un fascino quasi irreale. L’impronta aristocratica fa, in un certo senso, parte del suo Dna. Nell’intero ducato amalfitano, infatti, solo gli amalfitani e gli atranesi avevano il diritto di eleggere o deporre i loro capi, il simbolo della cui podestà era un copricapo, il cosiddetto “birecto” di cui i duchi venivano insigniti nella cappella palatina del S. Salvatore. La fiorente vita religiosa (erano più di trecento le chiese e le cappelle private presenti sul territorio, a cui si aggiungono sei cenobi che erano ospitati sull’antico Monte Maggiore) si intreccia al furore rivoluzionario: nel 1647, braccato dai soldati dei vicerè di Napoli, fece ritorno ad Atrani Masaniello, per nascondersi in quella grotta che da allora porta il suo nome. Nei secoli, non si contano i visitatori illustri che vi hanno fatto tappa. San Francesco d’Assisi, il drammaturgo Erik Ibsen, Richard Wagner (che del paesino costiero ebbe a dire: «le onde al di là della riva cullatisi mollemente in un’alterna vicenda mormorano una dolce e misteriosa canzone») e l’artista M.C. Escher che trovò proprio in riva al mare un magico mondo fatto di «bizzarre idee di uccelli, pesci, cieli ed acque». Atrani era il suo “villaggio”, contrassegnato da giochi di luce e magica atmosfera, la stessa che sedusse anche D’Annunzio e che continua a stregare migliaia di turisti. Quando il primo sole fa capolino, e l’orizzonte appare più terso, vale sicuramente la pena di deviare a sinistra e, prima di approdare ad Amalfi, fare tappa nella piazzetta dove coppie e comitive sostano per il rito dell’aperitivo. Calici di bianco ghiacciato e Martini cocktail, preparano lo spirito ad un’avventura alla riscoperta di piccole bellezze segrete. C’è la chiesa di San Salvatore de Birecto, che conserva ancora una pietra tombale del XIV secolo raffigurante la nobildama atranese Filippa Napolitano ed una lastra marmorea del XII secolo con due pavoni, gli animali sacri a Giunone e venerati da molti popoli orientali, simbolo di orgoglio e vanità, ma anche di resurrezione. Vale una visita la collegiata di Santa Maria Maddalena Penitente, fondata nel 1274 sui ruderi di un fortilizio medievale che vollero così ringraziare la Santa per averli liberati dall’insediamento di una colonia di soldati saraceni e la chiesa di San Michele Arcangelo, detta San Michele fuori le mura. I golosi non avranno di che lamentarsi. Atrani è la patria del pesce azzurro (a cui in estate è anche dedicata una accorsatissima sagra) anche se il suo piatto tipico è il sarchiapone. Si tratta di una zucchetta ripiena di carne tritata, salumi e formaggio, fritta e passata in forno con del pomodoro fresco, da gustare sia calda in inverno, che riposata in piena estate. ©RIPRODUZIONE RISERVATA