L'editoriale

Sull'occupazione si disputa la partita politica

La Campania presenta il quadro più drammatico dei giovani senza lavoro

SALERNO. Parte dal Mezzogiorno, dalla poverissima Campania, erede di decenni di falsi investimenti e di sprechi pilotati, la lunga campagna elettorale inaugurata dalla scadenza congressuale del Pd, campagna che si protrarrà fino alle prossime politiche. Il dato più positivo di questo fervore movimentista è la polarizzazione del confronto intorno al tema del lavoro che manca. Una ferita aperta nel corpo di una terra nella quale i giovani, più che altrove, soffrono la mancanza di futuro. La partita è tutta qui, nel tentativo di impedire il protrarsi della tragedia di una generazione cancellata dalla geografia politica ed economica del paese: secondo i dati Istat, sono un milione e 200mila i giovani italiani tra i 18 e i 34 anni che vivono in povertà assoluta, il doppio degli over 65 nelle stesse disperate condizioni. E in Campania c’è la percentuale più alta delle vittime di questo trend negativo. In un paese privo di un sistema di contrasto alla povertà, preoccupa non poco la forte tensione che serpeggia tra gli strati più emarginati, soprattutto a causa della prostrazione nella quale appaiono ripiegate le categorie più vulnerabili come donne, giovani genitori, stranieri. È soprattutto tra loro che avanza il triste primato campano, che registra il più limitato tasso di mobilità sociale: soltanto il 7 per cento dei Neet (giovani non impegnati in alcuna attività di istruzione o lavorativa) ha genitori laureati, mentre circa il 45 per cento li ha con la licenza elementare, e non sempre. Vite sbarrate, quindi, da un’appartenenza infausta e dalla incapacità da parte dello Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano libertà e uguaglianza dei cittadini, nonostante la Costituzione imponga il raggiungimento delle pari opportunità come obiettivo saliente della Repubblica.

Il governo Renzi aveva tentato di porre rimedio alla catastrofe, ma non è riuscito a varare politiche attive del lavoro in grado di attenuare il disagio. Nel gennaio 2017 il tasso di disoccupazione giovanile, nonostante gli incentivi della decontribuzione, è salito nuovamente. In ambito Ue, peggio di noi ha fatto soltanto la Spagna. Sono venuti al pettine tutti i nodi di una riforma che, anziché ridurre le modalità meno tutelate di lavoro, si è avventata sui contratti a tempo indeterminato, di fatto precarizzando anche quelle aree che resistevano alla crisi del mercato. I licenziamenti, poi, hanno fatto il resto, seguendo immancabilmente alla fine del periodo dello sgravio. Il problema della diseguaglianza da combattere è rimasto, pertanto, irrisolto.

I partiti, soprattutto quelli di neo formazione come Articolo 1, hanno capito che questa materia incandescente deve essere il punto di ripartenza dell’attività politica, se non si vuole perdere del tutto in credibilità. Lo aveva compreso, già mesi fa, il governatore De Luca lanciando dentro il Pd e fuori di esso, anche un po’ provocatoriamente, il tema della “terapia d'urto” con le 200mila assunzioni in Campania, progetto appena abbozzato e sul quale il governo Renzi apparve abbastanza freddo.

Il segnale di distacco dei giovani dal potere, identificato con il governo del paese, è sintomatico. Tra loro al referendum costituzionale del 4 dicembre ha votato No una percentuale molto alta, stimata tra 70 e 80 per cento. Il picco più alto ha riguardato proprio i cosiddetti giovani adulti, che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni.

Un sintomo di balcanizzazione non trascurabile, tant’è che lo stesso ministro dell’Economia Padoan ha rilanciato una proposta già circolata alla fine del 2015 di un assegno europeo per i disoccupati, con l’intento di far sentire le istituzioni vicine ai cittadini con gravi problemi.

La partita del consenso si sposta, quindi, sui temi più concreti e spinosi e domani, a Salerno, arriverà l'ex presidente del Consiglio D’Alema per parlare di lavoro, giovani e futuro possibile. Sembra che ci si stia attivando per ridare alla politica un ruolo effettivo nella grande partita del riequilibrio e dell’assestamento che si è aperta. Il problema è quello di fare sul serio. La nostra Costituzione, infatti, oltre ad essere rigida, compromissoria e democratica, è anche programmatica, nel senso che attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi costituzionali. E proprio qui è emerso il vulnus. Almeno fino ad oggi.

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