Sull’apertura della Ginecologia è guerra tra Cava e S. Severino

Dopo la decisione del Tar si attende l’effettiva operatività del reparto al momento ancora chiuso Intanto nella Valle dell’Irno sta crescendo la rabbia per la sentenza e si chiede il sostegno dell’Asl

Ieri mattina si sono riuniti in piazza Abbro, dinanzi al Palazzo di Città, ed hanno chiesto al sindaco Vincenzo Servalli che l’ordinanza del Tar, che dispone la riapertura del reparto di maternità del “Santa Maria dell’Olmo”, questa volta sia rispettata.

Il comitato per il diritto alla salute per Cava (Costituitosi lo scorso ottobre) questa volta non ha perso tempo e, all’indomani della seconda sentenza del Tar, ha chiesto chiarezza alle istituzioni sulle prospettive future del reparto.

«"Non vogliamo che si ripeta quanto è accaduto lo scorso gennaio, quando dopo il ricorso non si è comunque riaperto il reparto - ha sottolineato Anna Barone, una delle componenti del comitato - Chiediamo che il sindaco ci informi sulla reale situazione».

Ancora: «Da parte nostra noi non demorderemo e continueremo a lottare perché la ginecologia e l’ostetricia rimangano al “Santa Maria dell’Olmo” in modo che a Cava continuino a nascere i bambini». La Barone ha spiegato le ragioni di questa lotta.

«È un fatto di attaccamento alla nostra terra - ha aggiunto - Vogliamo che altri bimbi nascano in città e, se non è possibile avere la maternità all’ospedale, chiediamo almeno che siano predisposte le case del parto, ossia delle strutture nelle quali le donne possano far nascere i propri figli con l’aiuto di ginecologi ed ostetriche».

Anche Alfredo Senatore, un altro componente del comitato, ha chiesto di capire se la maternità sarà riaperta «almeno fino al 9 novembre, data in cui il Tar si pronuncerà nel merito della questione».

Senatore ha spiegato: «Non lottiamo solo per Cava ma anche per i cittadini della Costiera amalfitana che, nel caso di un parto, devono fare una corsa al reparto di ostetricia e ginecologia del Ruggi che è super affollato di partorienti e puerpere e che, per carenze strutturali, non offre la migliore assistenza possibile alle donne».

Davide Trezza, invece, ha chiesto che sia istituita una commissione permanente sui diritti dei malati, «che abbia una componente mista, ossia popolare ed istituzionale, e tenga alta l’attenzione sulla qualità dei servizi ospedalieri offerti ai cittadini».

E mentre in città si accende il dibattito sulla valenza dell’ordinanza di riapertura del Tar e ci si chiede come sarà letta in relazione all’atto aziendale del Ruggi - che per i nosocomi di Cava e Mercato San Severino prevede dei semplici ambulatori ginecologici, utili a tamponare le emergenze ed effettuare gli esami di routine e di controllo - all’ospedale “Fucito” di San Severino si pensa al da farsi.

«Abbiamo intenzione di organizzare un’azione di protesta per l'atto aziendale del Ruggi - ha commentato Aniello Capuano, coordinatore della sala operatoria al "Fucito" - Cava de’ Tirreni ha fatto il suo percorso e credo che anche i sindaci della Valle dell’Irno debbano avviare un’azione legale per far rimanere ginecologia a Mercato San Severino». Oggettivamente si tratta di una situazione particolarmente difficile e delicata, su questo non ci sono dubbi.

Secondo Capuano il “Fucito” sarebbe il candidato più idoneo per ospitare un punto nascita.

«I numeri sono a nostro favore - ha detto - Abbiamo un bacino di utenza di 150mila abitanti, tenendo conto che inglobiamo anche la cittadella universitaria».

Quindi snocciola altri dati per confortare il senso del suo ragionamento: «Peraltro noi registriamo 470 parti annui, quindi un numero ben superiore rispetto a Cava, e abbiamo anche più personale, tra ginecologi ed ostetriche, da mettere a disposizione dei pazienti».

In casi del genere, naturalmente, rischia di scoppiare una sorta di guerra dei poveri dove, alla fine, tutti rischiano di perdere. Si vedrà come si evolverà la situazione nel corso dei prossimi mesi che saranno cruciali.

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