«Su De Luca fumus di una persecuzione» 

Affondo del difensore Castaldo nell’ultima arringa sul Crescent: «Così si paralizza la pubblica amministrazione»

Più che il fumus di presunti reati, nel processo Crescent ci sarebbe, secondo la difesa di De Luca, il fumus della persecuzione. Lo ha detto ieri mattina l’avvocato Andrea Castaldo, concludendo la sua arringa davanti ai giudici della seconda sezione penale che in autunno emetteranno la sentenza. Nel mirino finiscono anche i consulenti tecnici della Procura, autori di quelle relazioni che per il difensore sono l’unico perno attorno al quale ruota l’intera inchiesta. «Le sentenze si fanno sulla base delle prove – ammonisce – e in questo processo non c’è uno straccio di indizio su questo concorso di colpa, su questa istigazione contestata a De Luca». Quindi legge una lettera inviata al Comune dalla Soprintendenza e incalza: «La Soprintendenza spiega qual è la procedura corretta, i consulenti della Procura non potevano acquisire queste carte? C’è una lettura preconcetta, un fumus persecutionis».
L’immagine che prova a tratteggiare è quella di un’inchiesta “montagna” che finisce per partorire il classico “topolino”. «Questa caccia alle streghe – sottolinea – è figlia di un sospetto di soldi, di tangenti, di una mala gestio in cui ogni evento sarebbe stato espressione di un centro di potere. Ci sta che si possa seguire questa pista, ma se fosse stato vero saremmo andati avanti con un procedimento per corruzione, e invece non è così. Allora finiamola, perché così si rovina quello che c’è di buono nella pubblica amministrazione. Così i funzionari si consegneranno a un atteggiamento omissivo, e condanneremo il Paese all’implosione». È lo spettro della “paura della firma”, tema caro proprio a Vincenzo De Luca, per il quale i pubblici ministeri hanno chiesto una condanna a 2 anni e 10 mesi con accuse che vanno dall’abuso d’ufficio al falso. E c’è un altro tema, che lo stesso presidente della Regione ha sviscerato nel corso delle dichiarazioni spontanee di venerdì e che il suo legale (codifensore insieme a Paolo Carbone) ha ripreso nell’arringa finale. È il distinguo tra la responsabilità politica e quella gestionale, tra le competenze di sindaco e assessori e quelle di tecnici e dirigenti. Castaldo arriva persino a suggerire che, se proprio processo doveva esserci, al banco degli imputati doveva forse sedere anche il dirigente che ha certificato la regolarità delle delibere di giunta contestate. «Nei suoi confronti – osserva – non c’è stata nemmeno una nota di biasimo». Per il resto la discussione di ieri è stata volta soprattutto a smontare i presupposti giuridici dell’abuso d’ufficio («l’accelerazione dei tempi non ha prodotto per i costruttori alcun vantaggio indebito né vi sono state macroscopiche violazioni di norme») e lo scenario dell’istigazione. Come nelle dichiarazioni dell’ex sindaco anche il difensore chiede che si dica come e quando questa istigazione si sarebbe consumata. E se De Luca ha chiarito di non aver mai neanche conosciuto l’ex soprintendete Affani (nel novero dei presunti istigati all’illecito), Castaldo rivela che venerdì mattina, quando il governatore ha lasciato il Tribunale, proprio Anna Maria Affani gli si è avvicinata per presentarsi.
Torna anche il tema della sentenza del Consiglio di Stato, che alla fine di un lungo braccio di ferro ha dichiarato la procedura legittima. E ci si aggiunge la relazione in tal senso degli ispettori ministeriali. «Non vi sono prove di reato perché non esistono i fatti» conclude Castaldo. Ma la Procura non la pensa così. Il 28 settembre i pubblici ministeri Rocco Alfano e Guglielmo Valenti replicheranno alle arringhe difensive tornando a chiedere la condanna di tutti i 22 imputati. Poi i giudici (presidente Vincenzo Siani, a latere Cantillo e Trivelli) si ritireranno in camera di consiglio per la sentenza. Se dovesse essere di colpevolezza, per De Luca e alcuni assessori di Regione e Comune scatterebbe la legge Severino con la sospensione dalla carica.
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