Buongiorno salerno

Sprecati anche i fondi del Piano Marshall

La storia del cementificio di Sapri mai completato dal lontano 1956

Massimo Troisi, in uno sketch parlava di “piano di risanamento voluto dalla Cassa da morto per il Mezzogiorno”. E se di pietre tombali si vuol parlare, anzi di cumuli di macerie, quelli dello scheletro dell’edificio che sarebbe dovuto diventare il cementificio di Sapri hanno seppellito sessant’anni di storia di una cittadina conosciuta più che per il “cemento” per un “cimento”: quello risorgimentale di Carlo Pisacane.

E fu proprio con i soldi della Cassa (non da morto) per il Mezzogiorno, attraverso i fondi residui del Piano Marshall, creato dagli Stati Uniti per aiutare la ricostruzione dell’Italia meridionale nel secondo dopoguerra, e prima ancora con i finanziamenti del Banco di Napoli, che tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta la società Marna-Sud decise di costruire uno stabilimento per la produzione di cemento e leganti idraulici.

I lavori furono sospesi alla fine del 1956 perché mancavano altri 350 milioni di vecchie lire (180mila euro) in aggiunta ai 500 preventivati (258mila euro). Da allora le discussioni e le campagne elettorali hanno sempre avuto al centro il cementificio, tra chiacchiere in quantità industriale, idee sconclusionate, progetti imponenti e tentativi di speculazione edilizia.

Tutto ora è finito sotto le macerie, compresi i segreti di quello che per tanti è stato il “vero sindaco” di Sapri.