caporalato

«Spero davvero che la nuova legge serva a qualcosa»

Carmelina Di Lisi ha lavorato nei campi per ben 23 anni Guadagnava 35-40 euro al giorno, gli immigrati pure meno

SALERNO. Per 23 anni, ogni giorno, che ci fosse il sole o la pioggia, si è alzata alle quattro del mattino e a bordo di un’auto da Bellizzi, dove abita, ha raggiunto i fondi di Battipaglia ed Eboli per raccogliere pomodori, insalate e altre primizie del nostro made in Italy, lavorando incessantemente per otto-dieci ore, in condizioni che definire disumane non è esagerato. Questa è stata la vita di Carmelina Di Lisi dal 1990 al 2013 quando, alla soglia dei cinquant’anni, ha deciso di dire basta e cominciare anche a denunciare le condizioni in cui ha vissuto e continuavano a vivere altre donne, italiane e straniere, negli sterminati campi della nostra provincia.

«Si cominciava alle sei e un quarto – racconta – anche se da contratto avremmo dovuto cominciare alle sette. E non staccavamo mai alle due e mezza del pomeriggio perché dovevamo completare il raccolto nella serra. Non c’è stato un solo giorno in cui l’orario di lavoro sia stato rispettato».

E tutto per 35-40 euro al giorno, per i regolari e ancora meno per gli irregolari, che non arrivano a guadagnare più di 30 euro al giorno.

«Dove lavoravo io eravamo tutti regolari: ci pagavano secondo contratto e a chi come me si spostava con la propria auto rimborsavano anche il carburante. Ma le angherie che subivamo, quelle non ce le ha ripagate nessuno». Anni di “angherie e vessazioni”, così le definisce Carmelina, che oggi ha 52 anni, aiuta il figlio nella gestione di una pizzeria e quando la chiamano, specie dalla Flai Cgil, va in giro a raccontare la sua storia con la speranza che possa servire a far uscire allo scoperto un mondo sommerso dove l’unico modo per ottenere quei pochi soldi per mandare avanti la famiglia è sottostare. A tutto.

«Se avevi freddo o ti sentivi mancare per il troppo caldo – ricorda Carmelina – non ti potevi fermare un secondo che subito c’erano i capi che stavano lì a urlarti di fare presto. Anche bere un po’ d’acqua o andare al bagno, se così li potevamo chiamare, era complicato. Non eri mai sola, ti controllavano sempre».

Oggi per lei quel mondo è lontano, ma in migliaia non hanno ancora mollato. «Ho saputo dell’approvazione della nuova legge – dice – speriamo serva davvero a qualcosa. Ma ho anche sentito che vogliono mettere le telecamere nelle case per anziani e negli asili nido. Secondo me – suggerisce – dovrebbero metterle anche all’interno delle aziende agricole, così forse fermeremo lo sfruttamento». 

©RIPRODUZIONE RISERVATA