LA SENTENZA

Sommossa nel carcere di Fuorni: agenti e direttrice testi credibili

Cassazione: inammissibili i ricorsi di tre detenuti che parteciparono alla rissa nella casa circondariale

SALERNO - Le testimonianze dei poliziotti penitenziari e della direttrice Rita Romano del carcere di Fuorni, in merito alla rissa scoppiata tra detenuti napoletani e salernitani, avvenuta il 5 aprile del 2018, sono univoche e costituiscono una fonte di prova attendibile. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di uno dei partecipanti al «derby penitenziario », Luigi Pastore , 21 anni di Salerno, contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva respinto la richiesta di revoca della misura carceraria, applicata l’anno scorso ad ottobre per i fatti accaduti in uno dei padiglioni del carcere “Caputo” di via del Tonnazzo. La decisione degli “ermellini” è del luglio scorso, ma solo in questi giorni sono state le motivazione della sentenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Per i giudici capitolini, dunque, è riconosciuta l'attualità del pericolo cautelare. Dunque il pericolo di reiterazione del reato, anche se il detenuto - i fatti si verificarono tra le mura carcerarie - è stato trasferito ad altra casa circondariale dopo la sommossa di due anni fa. Respinti, sempre per inammissibilità, anche i ricorsi di altri due indagati: Massimiliano Schiavone , 40 anni, e Vincenzo Contaldo , 29 anni. Quel giorno il corridoio di uno dei padiglioni divenne il campo di battaglia tra le due fazioni identificate per l’appartenenza geografica. «Andatevene via, fatevi i fatti vostri», urlarono i napoletani ad un agente penitenziario, mentre imbracciavano bastoni e si rifiutavano di rientrare dopo l’ora in giardino. Proprio quando allo stadio si cerca il contatto con la fazioni opposta, i salernitani.

A settembre dello scorso anno scattarono tredici provvedimenti cautelari firmati dal Tribunale di Salerno. Le accuse vanno dalla resistenza e violenza a pubblico ufficiale alla rapina, ad episodi plurimi di lesioni personali. Perché il preludio della rissa è il pestaggio subito da un detenuto salernitano. Aggressione subito vendicata con l’aggressione di un detenuto napoletano. In pratica una sorta di dichiarazione di guerra. E così fu. Alla prima occasione di possibile contatto tra le parti scattò la rappresaglia. Durante la quale rimase ferita anche la direttrice Romano che si frappose tra le due fazioni agguerrite.

Una delle figure di spicco dei rivoltosi era Demetrio Sartori : uomo di punta del clan D’Amico di San Giovanni a Teduccio. Il suo nome finì nell'inchiesta sul cosiddetto «patto di gomorra», ovvero l’accordo tra i D’Amico e i Cuomo di Nocera Inferiore nel periodo delle gambizzazioni. Sartori fu arrestato tre anni fa nel centro storico di Eboli. Ad intercettarlo furono i carabinieri della locale compagnia che lo fermarono nei pressi del castello Colonna, nel centro storico. Quel giorno era in compagnia di un parente che cercò di bloccare l’azione del militari dell’Arma. Indagini sulla rissa a buon punto, l’accusa incassa anche il parere della Cassazione sulle prove granitiche.

(m.l.)