gli operai non si arrendono

«Sogno che un giorno possa lavorarci anche mio figlio»

La lunga giornata degli operai delle Fonderie Pisano inizia intorno alle 11.30, quando i primi dipendenti si riuniscono davanti ai cancelli dello stabilimento in attesa dei bus che li porteranno a...

La lunga giornata degli operai delle Fonderie Pisano inizia intorno alle 11.30, quando i primi dipendenti si riuniscono davanti ai cancelli dello stabilimento in attesa dei bus che li porteranno a Roma, al ministero dello Sviluppo economico. Le speranze e soprattutto le aspettative sono alte, come alta è la posta in gioco che i lavoratori conoscono fin troppo bene. Ma il morale è alle stelle, tant’è che nel bus partono i primi cori da stadio. C’è voglia di dimostrare al ministero che loro, i 150 operai delle fonderie, ad essere mandati in strada così proprio non ci tengono. La giornata però non inizia nel migliore dei modi. Uno dei bus deve fermarsi per un guasto al sistema di condizionamento. Senza, l’aria è talmente tanto torrida da non permettere il proseguimento. Tra i più superstiziosi aleggia lo spettro della malasorte, della “ciorta”, che annuncia una giornata poco fortunata. Ci si ferma all’autogrill di Teano per rifocillarsi e riprendersi dal caldo, mentre si riparano i fusibili guasti. Il buonumore torna non appena si arriva Roma, intorno le 15.30. Dalla stazione metro dell’Anagnina ci si riprende al grido di “forza al potere operaio” mentre bandiere della Cgil e lavoratori galvanizzati dall’aria condizionata del trenino invadono i vagoni semivuoti. Dopo 12 fermate di metro si arriva davanti la sede del ministero in via Molise. Lì, ad attendere i 104 lavoratori ci sono i loro colleghi della Tirreno Power, centrale termoelettrica di Vado Ligure che da due anni combattono contro l’esubero di ben 200 unità con una cassa integrazione al termine. Dal picchetto davanti il ministero si informano che di manifestazioni del genere, con striscioni e quant’altro, ve ne è almeno una ogni due giorni. E che di vertenze e d’incontri col ministro infatti ve ne sono anche quattro al giorno. Alle 17 precise compare l’ingegnere Ciro Pisano e la delegazione viene ricevuta in perfetto orario. «Se chiudiamo – afferma uno dei dipendenti, Francesco Di Michele – le commesse non ci saranno più e sarà inutile delocalizzare. Il problema non sarà dell’azienda ma sarà solo il nostro. Probabilmente diamo fastidio a qualcuno, altrimenti non si spiega questo accanimento».

C’è un clima di spasmodica attesa tra i dipendenti, accampati in bar dei dintorni o seduti su appoggi di fortuna davanti al ministero. Ad un tratto però, verso le 17.30, arriva la notizia che, nonostante fosse attesa, è come una doccia fredda. «Mi aspettavo la conferma del sequestro – ha invece detto Fabio Vastola – Sarebbe stato strano il contrario. Ora confidiamo in questo incontro. Lavoro in fonderia da 11 anni e ho un figlio di due anni ed un mutuo da pagare e ancora non mi è chiaro perché ci hanno costretto a chiudere». «I miei figli e mia moglie sono in Germania – afferma Emilio Ceruso – Se oggi decidono di chiudere le Pisano definitivamente, dovrò trasferirmi da loro. Lì il lavoro non lo si elemosina».

«Sapevamo già che l’avrebbero sequestrata – commenta sconsolato Francesco Di Michele – Di sicuro non l’abbiamo presa bene. Sia tra i più anziani sia tra i più giovani. Siamo a un passo dal baratro ma finché avremo la forza di manifestare, andremo avanti. Il mio sogno è sempre quello di portare mio figlio a lavorare in fonderia, un giorno». (e.d’a.)

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