L'EDITORIALE

Simon Gautier, l'ultimo respiro nel Paese sbagliato

E ora chiedete scusa alla Francia...

E ora chiedete scusa alla Francia ed ai francesi per aver fatto morire nella “nazione sbagliata” un giovane escursionista che, ferito, aveva chiesto perfino aiuto utilizzando la carica residua della batteria del telefonino. Chiedete scusa alla Francia ed ai francesi per aver fatto vivere la terribile agonia a Simon, spirato avendo negli occhi la solitudine, tra atroci dolori, della volta del cielo del golfo di Policastro. Dalla terra al cielo, la strada è stata lunga e sofferta non sapendo, Simon, che lui era costretto a vivere quelle ultime ore della sua vita in una Paese che, ancora una volta, ha offerto l’immagine di una comunità nazionale senza “catena di comando” dove mille “generali” si fanno perfino raccomandare per raggiungere la prima fila e poi, una volta raggiunto lo scopo, decidono la ritirata quando c’è da assumersi la responsabilità della guida di una catastrofe o di un dramma. Chi ha guidato i soccorsi per Simon? Non è una domanda peregrina avendo dovuto constatare questo giornale, con una sua inchiesta, che l’elicottero dei soccorsi si è alzato in volo solo 28 ore dopo l’sos che lo stesso povero Simon aveva lanciato. Perché tanti ritardi? Chi c’era nella cabina di regia che dirigeva le operazioni di soccorso? «Non eravamo che trenta di noi a girare, guardare, tentare di avvistare Simon» hanno detto, con le lacrime agli occhi, gli impagabili ed eroici ragazzi del Soccorso Alpino che hanno, alla fine, dovuto recuperare il corpo martoriato del giovane francese. Ed insieme a loro il pianto dei giovani agropolesi muniti di droni superpotenti che hanno scritto a Simone, con un post su Fb, “ti sei perso nella nazione sbagliata”. Eppure nei giorni del dramma ben tre esponenti del Governo erano nelle acque del golfo di Policastro per concedersi un legittimo riposo. C’è stato perfino un sottosegretario all’Interno che pure dovrebbe essere funzionalmente competente alla Protezione civile, una gloriosa storia italiana da Elveno Pastorelli a Giuseppe Zamberletti, fino a Guido Bertolaso (inseguito e fatto dimettere per una inchiesta penale da cui è stato poi assolto con formula piena). A nessuno dei tre uomini di Governo a Palinuro, sia pure leggendo di sfuggita i giornali o i social, è venuto in mente di chiamare chi guidava le ricerche e di chiedere celerità, rigore nel lavoro e soprattutto concretezza operativa? È chiaro che ora sono in campo gli “scienziati del giorno dopo” pronti ad individuare i colpevoli in ogni tragedia nazionale, meglio se è il vicino-nemico. Ma, ci chiediamo, è mai possibile che nell’Italia di oggi, e di sempre, bisogna affidarsi ad un procura della Repubblica perché indaghi sulle catene di comando, quasi sempre sconnesse, nelle ore di una tragedia come quella del povero Simon? Hanno ragione da vendere i quotidiani francesi quando ieri mattina, alla notizia del ritrovamento del corpo di Simon, hanno alzato la voce di condanna e di sconcerto, a partire dal prestigioso Le Figaro. All’ambasciatore francese in Italia, quel gran signore di Christian Masset, giunto a Salerno per sollecitare le ricerche di Simon, non sarà sfuggito il ricordo piuttosto recente (luglio scorso) di aver dovuto tollerare a piazza Farnese a Roma la protesta politica sotto la sua residenza animata da un partito di destra che urlava contro Macron e il Comune di Parigi per aver insignito Carola Rackete (la capitana di Sea Watch) della massima onorificenza della Capitale francese. Immaginate, solo per un attimo, il copione della tragedia a parti invertite. Se un giovane turista italiano si fosse disperso sulle Alpi francesi e fosse tornato morto in Italia i litri di benzina sul fuoco del sovranismo “casereccio” sarebbero stati incalcolabili, fino al punto di inondare i social del peggior odio contro i cugini francesi. Tranquilli, non ci sarà nessun francese che inalbererà uno striscione con scritto “vergogna” sotto la residenza dell’ambasciatore italiano in Francia per protestare contro un Paese dove la catena di comando, anche nei soccorsi, è da tempo sconnessa. Dobbiamo ancora una volta sperare nel lavoro degli inquirenti, riponendo buona fiducia. Non ci accontenteremo di qualche autista ritardatario come capro espiatorio di una tragedia che è l’autentica metafora della condizione di un Paese in declino. Né tantomeno ci basterà avere come “indagato” virtuale quel sistema assente di soccorso garantito dal cosiddetto Aml, l’acronimo che sintetizza la localizzazione di un cellulare dal quale parte l’sos e individua il soggetto in pericolo con un margine di errore di poche decine di metri. È un sistema che hanno anche in Lituania ormai, oltre che 15 Paesi europei. Solo in Italia non esiste pur beneficiando, ma non spendendo, di soldi garantiti dall’Unione Europea. Non chiediamo capri espiatori ma verità sì. Perché, come disse Churchill nel 1952, «Non si prevede il volere di Dio» quando il popolo chiedeva la sua testa di primo ministro e la Regina Elisabetta voleva destituirlo. Lui rispose con un azzeccato riferimento al presunto nesso di causalità tra la natura politica delle proteste e le colpe personali. Non senza aggiungere, Churchill: «La gente vuole un capro espiatorio. Ma noi siamo leader». La verità è che Dio c’è, ma in Italia i leader non ci sono. Peccato non lo sapesse il povero Simon, venuto a morire nel Paese sbagliato.