Sentenza Severino, Mastursi davanti al gup

Udienza preliminare per l’ex capo staff di De Luca. La giudice Scognamiglio “scarica” il marito

Si è aperta ieri mattina e si concluderà a fine gennaio l’udienza preliminare per decidere se Nello Mastursi, la giudice Anna Scognamiglio e i presunti complici dovranno affrontare un processo per le sentenze che nell’estate del 2015 consentirono a Vincenzo De Luca di restare in carica alla presidenza della Regione, evitando l’applicazione della legge Severino. Oltre che per Mastursi e Scognamiglio, la Procura di Roma chiede di rinviare a giudizio Guglielmo Manna (marito della magistrata) l’avvocato napoletano Gianfranco Brancaccio, l’infermiere Giorgio Poziello dell’ospedale Santobono, e l’avellinese Giuseppe Vetrano, candidato alle scorse regionali nella lista “Campania libera” e coordinatore nella provincia di Avellino delle liste a sostegno di De Luca. Ieri l’unica a rendere dichiarazioni al gup è stata la giudice Scognamiglio: è tornata a prendere le distanze dal marito e dalle sue ambizioni per un incarico di dirigente nella sanità campana, e ha depositato un certificato scolastico rilasciato al figlio il 17 luglio del 2015 per provare che quel “nulla osta” di cui in quei giorni parlava al telefono con il coniuge non era un’espressione criptata per nascondere le trattative sulla sentenza, ma un documento reale che riguardava la famiglia. L’udienza è stata poi aggiornata al 18 gennaio, quando il pubblico ministero ribadirà le sue richieste. Ed è già fissato per il 25 gennaio un’ulteriore appuntamento, quando si prevede che si concluderanno le arringhe difensive e il giudice deciderà se disporre il processo o prosciogliere tutti o alcuni degli imputati.

L’accusa è quella di concorso in “induzione indebita”, la formula che dal 2012 sostituisce il reato di concussione quando si ritiene che le pressioni del pubblico ufficiale (in questo caso Scognamiglio) non siano state tali da non lasciare margini di resistenza al concusso, che dal rifiuto non avrebbe tratto un danno ma solo la rinuncia a un indebito vantaggio. È quello che secondo i magistrati romani è avvenuto in questo caso, in cui tutti gli indagati avrebbero avuto il loro guadagno: dal giudice, che chiedeva la nomina per il marito, all’entourage deluchiano, che avrebbe scongiurato il rischio di una sospensione del presidente. Oggetto dell’accordo erano le sentenze che il Tribunale civile di Napoli doveva emettere sull’applicabilità a De Luca della legge Severino, che poteva costargli la sospensione dalla carica. Non è provato, però, che lui lo sapesse. Anzi su questo elemento non sono stati trovati riscontri, tant’è che per il “governatore” gli inquirenti hanno formulato una richiesta di archiviazione pendente davanti al giudice delle indagini preliminari.

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