Segnali stradali, giro di vite dei giudici

L’omessa indicazione dell’ordinanza non basta per “cancellare” la multa

Segnaletica stradale, la Cassazione stabilisce che, ai fini della nullità delle infrazioni al codice della strada, non basta che il segnale che impone l’obbligo (o il divieto) non riporti gli estremi dell’ordinanza che ne ha autorizzato l’installazione. È necessario che non esista alcuna ordinanza o che, quanto meno, questa sia viziata. Solo in questo caso l’eventuale ricorso potrà essere accolto. Tutto nasce da una norma, l’articolo 77, numero 7 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada, che impone l’indicazione, sul retro del segnale stradale, degli estremi dell’ordinanza comunale che ne ha disposto e autorizzato l’installazione. La mancata apposizione di queste informazioni – è la tesi che è stata a più riprese sostenuta in svariati ricorsi – renderebbe di fatto “abusiva” l’installazione del segnale, con l’ovvia conseguenza che nessuno sarebbe tenuto a rispettarlo (e le eventuali multe elevate sarebbero nulle). La Cassazione, con una ordinanza del 15 novembre scorso, ha ora chiarito che, per annullare la multa e legittimare il ricorso, non basta che il cartello segnaletico ometta di indicare l’ordinanza: occorre anche che questa non esista o che, quanto meno, sia viziata.

È buona regola prendere comunque nota degli estremi autorizzativi del segnale, riportati sul retro del cartello: per essere certi della corretta (e legittima) installazione ma anche, eventualmente, per sottoporre a verifica di legittimità il provvedimento adottato dall’amministrazione comunale. Questo, ovviamente, quando si hanno valide ragioni da sostenere. Altrimenti, regola migliore è attenersi scrupolosamente a quanto il segnale prescrive.