l’appello

Sedicenne picchiata dal fidanzato: «Ragazze fuggite prima che sia tardi»

CAVA DE’ TIRRENI. Occhi da gazzella ed un dolce sorriso. Ha solo 16 anni e tutta la vita davanti. Nel cuore custodisce la speranza di trovare un amore vero, che la protegga dal male del mondo e la...

CAVA DE’ TIRRENI. Occhi da gazzella ed un dolce sorriso. Ha solo 16 anni e tutta la vita davanti. Nel cuore custodisce la speranza di trovare un amore vero, che la protegga dal male del mondo e la tratti con delicatezza e dolcezza. E invece è proprio lui, il suo fidanzato ventenne, il male oscuro che la insidia, la fa soffrire e la colpisce con pugni e schiaffi. Ed è sempre lui che le lascia sul corpo e nell’anima segni indelebili.

La storia di una giovane cavese è comune a quella di molte altre donne in Italia, che subiscono violenze fisiche e psicologiche, spesso in silenzio e senza ribellarsi. Ma per fortuna la sua vicenda ha un lieto fine , che la ragazza vuole raccontare. È quasi un racconto taumaturgico, che le permette di attutire le ferite della sua anima. «Mi sono innamorata subito di lui – racconta – I primi cinque mesi sono stati meravigliosi, poi non so cosa sia successo. Ha iniziato a diventare possessivo e geloso. Ogni cosa lo infastidiva: come mi vestivo, come mi truccavo, se uscivo con una mia amica e persino se facevo una passeggiata con mia madre». Da lì l’inizio di scenate di gelosia, poi sfociate in episodi di violenza fisica. «Mi picchiavva con schiaffi, pugni e calci – aggiunge – Ero spaventata, ma non avevo il coraggio di confidarmi neppure con i miei genitori. Qualche volta ho provato a lasciarlo, ma lui mi rispondeva che si sarebbe ammazzato e, poi, mi prometteva che non mi avrebbe più colpita. Invece lo rifaceva sempre».

Sono mesi bui per la giovane cavese, che non riesce a ribellarsi a questa spirale di violenza. «Per paura non mi truccavo più, mi vestivo con abiti informi, non mangiavo più: ero diventata trasparente – ricorda – Uscivo solo in sua compagnia, camminavo con gli occhi bassi e non salutavo nessuno. Ma anche questo non bastava. Una sera mi ha dato talmente tante botte che non ho potuto nascondere i segni ed ho mentito: ho detto che ero caduta per le scale». Da lì la decisione di lasciarlo. Ma il ragazzo non si arrende ed inizia a seguirla. «Mi chiese di incontrarlo alla stazione di Cava – continua – Ricordo bene la data: era l’11 ottobre. Accettai, ma portai con me degli amici perché avevo paura. Tentò di baciarmi ma lo respinsi, scatenando la sua furia. Iniziò a colpirmi con violenza e crudeltà. Intervennero in tempo i miei amici che erano poco lontano, evitando che andassi a sbattere con la nuca contro un ferro acuminato. Mi avrebbe ucciso se il mio amico non avesse parato il colpo con la sua mano».

Quell’ultimo episodio di violenza segna la fine di tutto. «Dopo quella volta non l’ho più visto – conclude - Non ho avuto il coraggio di denunciarlo, ma voglio raccontare la mia storia per lanciare un messaggio a tutte le ragazze che sono vittime di un amore malato. A loro voglio dire: fuggite il più presto possibile prima che sia troppo tardi».

Alfonsina Caputano

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