L'OPINIONE

Seconda, terza e quarta verità sui misteri nella Russia di Putin

Le notizie che arrivano dalla Russia hanno generato un nuovo esercito di pensatori e di improvvisati improbabili esperti di politica estera. Per loro stessa natura gli esteri sono affar complesso; sulla vicenda attuale la complessità è maggiore, in quanto si intreccia con uno scenario di guerra pregno di misteri anche per i più attenti osservatori. Spesso la storia può venire in soccorso. Non serve essere esperti di geopolitica per dar ragione al filosofo Giovan Battista Vico quando teorizzò i corsi e i ricorsi della storia. L’uomo è portato, anche inconsapevolmente, a compiere le stesse azioni degli avi in quanto custodite nel bagaglio culturale personale.

C’è un’opera, che non mancava nel Pantheon letterario della generazioni di studenti di cinquanta anni fa, che nel 1965 regalò al suo autore, Michail Solochov, il Premio Nobel per la Letteratura, che può aiutare a cercare una seconda, terza, quarta, verità, su quanto sta avvenendo nella Russia di Putin. Il Placido Don, fatto di quattro episodi, descrive le vite e le lotte dei cosacchi durante la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e la guerra civile russa. Nel secondo episodio, lo scrittore rende onore a un cosacco, Lavr Kornilov, che diventa - da comandante in capo - protagonista della controrivoluzione.

Siamo negli anni della fine dello zarismo, caduto con la sconfitta militare subita dalla Germania e della rivoluzione liberale che aprì la strada al governo Kerenskij in coalizione con i bolscevichi. Nell’agosto del 1917, dopo il rifiuto della sua proposta di un piano di riforme delle regole di ingaggio dei militari al fronte, Kornilov, convinto che Kerenskij fosse ostaggio della maggioranza bolscevica dei Soviet ed agisse addirittura in pieno accordo con lo Stato Maggiore Generale Tedesco, decise di fare in proprio e abbandonando il fronte nella guerra contro gli Imperi Centrali, con i suoi uomini, fino a quel momento i più valorosi, decise di chiudere la partita con i Soviet di operai e militari nascosti nei corpi del nuovo Stato governato da Kerenskij. Le parole di Kornilov - “Non volendo consegnare il potere a dei traditori preferisco morire sul campo dell’onore e della guerra” furono le stesse che ha pronunciato due giorni fa il capo della Brigata Wagner, Prigozhin. L’obiettivo di far pulizia dei leninisti senza risparmiare chi, potendolo, non li schiacciava, è ormai certificato dalla storia. Quella che ancora, dopo oltre un secolo, non è certa è la motivazione del perché Kornilov fermò la sua marcia, fino a quel momento trionfale tra gli applausi delle popolazioni e la desistenza delle forze armate regolari, a soli 20 km dal “traguardo”.

L’Affare Kornilov fallì e si concluse con l’arresto del generale, poi confinato in una città lontana, accusato di aver teorizzato un colpo di Stato - qualche storico è certo che Kerenskij ne fosse a conoscenza - e che a seguito della rivoluzione d’ottobre, entrò nell’Armata Bianca controrivoluzionaria finendo ucciso dai bolscevichi nell’aprile 1918. Identico epilogo sabato scorso ha previsto per Prigozhin il consigliere di Volodomyr Zelensky, Mikaylo Podolyack. Di sicuro così come dopo Kornilov anche dopo il 24 giugno di Prigozhin nulla sarà come prima. E non a caso Putin ieri, per nulla preoccupato, riferendosi al 1917 ha probabilmente voluto dire, fra le righe, che quando un generale sfida il Cremlino rischia di aprire la strada a qualcosa di peggio. E nulla sarà come prima sul fronte della guerra. Per la Russia sarà molto difficile sostenere un fronte ucraino con la stessa efficacia della Wagner dopo il 24 giugno.