Editoriale

Se la democrazia fa da maschera ai poteri occulti

Europa delle potenti oligarchie

Le celebrazioni non aiutano la verità. Sono atti solenni, in genere, e sfociano nella lode. È accaduto, in questi giorni, per l’Europa, che dalle celebrazioni è uscita più glorificata che compresa. Invece, sarebbe stato opportuno capire, perché la conoscenza chiarisce le idee, attenua il dolore, fa evaporare l’angoscia. Soprattutto rende evidente lo status quo, in un momento storico che formalmente non mette in discussione la democrazia come potere legittimo, ma di fatto nasconde al suo interno forme di oligarchia abilmente mascherate. L’usurpazione del potere assume sempre più spesso sembianze legali, legittime: e questa è una delle tragedie del tempo presente. Il nostro compito, quindi, è di comprendere l’inganno, snidarlo, renderlo inoffensivo, denunciarlo. Ebbene, l’Europa, nata come strumento di pace dopo la seconda guerra mondiale, è diventata altro dalle sue origini a partire dall’inizio degli anni ’90. Raccontiamo, oggi, all'interno del giornale, questa storia assurda e, allo stesso tempo, che riassume il pensiero di un grande europeista, il giurista Giuseppe Guarino. Un pensiero politicamente scorretto che non ha, però, alcun titolo di parentela con quello dei populisti della vecchia scuola e dell’ultima ora. Per Guarino l’euro arriva nelle nostre tasche in seguito a un “colpo di Stato”. A Maastricht, il ministro Carli riuscì a strappare, per l’Italia, il criterio della tendenzialità nel rientro del debito, non potendo il nostro paese rispettare il parametro massimo previsto del 60% di disavanzo (eravamo già al 105%). In caso di crisi come l’attuale sarebbe stata addirittura sospesa la verifica dei parametri stabiliti. Che cosa sia avvenuto dopo, lo ricordano tutti: furono alterate le clausole volute da Carli e, non potendo modificare il trattato, fu introdotto il patto di stabilità, con le conseguenze ben note, inasprite dal successivo fiscal compact, anch’esso adottato violando i trattati, che a sua volta impose il pareggio di bilancio (approvato, peraltro, con legge costituzionale).
C’è un fraseggio costante tra democrazia e oligarchia, leggi e soprusi, al punto che alcuni giuristi si stanno chiedendo se, in Italia e in Europa, ci troviamo in un’oligarchia democratica o in una democrazia oligarchica: risulta infatti evidente che, pur riaffermando ad ogni pie' sospinto le forme della democrazia, il potere adotti iniziative violente per colmare la crisi del consenso intorno a molte delle attuali scelte. La politica non comprende né sceglie e quel che più indigna è che lo Stato (indebitato oltre ogni limite) non ha perduto la sovranità a favore di istituzioni europee o mondiali, ma di poteri finanziari inseriti nelle istituzioni come un pernicioso tarlo. Ne consegue che, se lo Stato nazionale non è più l’area all’interno della quale si discute di diritti dei singoli e delle comunità, ma l’osservatorio nel quale registrare i parametri imposti dall’Ue, indipendentemente da quella tenuta sociale che fu l’assillo di Guido Carli e della prima repubblica, per quanto accidentata e fibrillante essa fosse, la democrazia entri in un tunnel a tratti spaventoso, nel quale non si intravvede alcuna traiettoria percorribile.
Gli Stati hanno cessato, è vero, di essere un potere politico di governo dei territori, ma devono perciò riguadagnare la propria sovranità, senza la quale non sarà possibile creare uno spazio europeo in cui entri la voce autentica dei popoli. La natura di questo spazio non potrà che essere politica, in grado cioè di governare la moneta e, ad un tempo, attivare le forme di protezione sociale contro la finanza aggressiva e autistica che da circa vent'anni influenza e gestisce la vita dei cittadini. Si tratta, però, di un percorso lungo, sul quale non ci si può incamminare con il cappio al collo. Sarebbe il caso, pertanto, di ridiscutere già nell’immediato i parametri che stanno uccidendo le economie dei paesi più deboli, ma di tutto ciò non si è parlato in questi giorni di celebrazioni e di riti, nel cui corso, ancora una volta, la voce più dichiaratamente politica, e perciò concreta, è stata quella del Papa. Sulla frontiera della libertà, infatti, gli ultimi hanno trovato un amico vero, che purtroppo condivide ma non decide.