Scarano chiede di essere processato a Roma

Il prelato riformula l’eccezione di incompetenza territoriale. Visita medica per decidere se sarà in aula

Si aprirà con un’eccezione di incompetenza territoriale il processo che lunedì prenderà il via a carico d monsignor Nunzio Scarano e di cinquanta presunti complici accusati con lui di concorso in riciclaggio. L’avvocato Silverio Sica, difensore del prelato, chiederà ancora una volta che il processo sia trasferito a Roma, argomentando che se reato di riciclaggio c’è stato, questo è stato consumato nella capitale (dove si sono svolte le operazioni bancarie) e non a Salerno, dove familiari e amici di Scarano hanno firmato gli assegni circolari che consentirono a Scarano l’estinzione di un mutuo ipotecario e ricevettero in cambio l’equivalente in denaro contante. La questione era già stata sollevata davanti al giudice dell’udienza preliminare Renata Sessa, che a giugno, dopo quattro ore di camera di consiglio, ha però respinto tutte le eccezioni dei difensori, sia quelle sulla competenza territoriale che le altre in cui si ipotizzavano difetti di giurisdizione o vizi di nullità degli avvisi di udienza per mancata applicazione della nuova normativa sull’assenza dell’imputato. Anche quest’ultima eccezione sarà riproposta lunedì ai giudici della seconda sezione penale, davanti ai quali è fissato il processo. In aula potrebbe esserci anche monsignor Scarano, che oggi dovrebbe essere visitato dal medico di fiducia «Vedremo – riferisce l’avvocato Sica – se le condizioni fisiche di don Nunzio gli consentiranno di partecipare al processo. Saranno decisive le conclusioni del medico». Il sacerdote è agli arresti domiciliari dallo scorso gennaio e da giugno gli sono state concesse tre ore di libertà al giorno, sulla scorta di una relazione medica che ne evidenziava la condizione di forte disagio psicologico. Ai domiciliari è stata ristretta a luglio anche la commercialista Tiziana Cascone, che secondo l’accusa violò organizzò con il prelato l’operazioniedegli assegni circolari.

Secondo la tesi difensiva il monsignore usò lo stratagemma degli assegni solo per celare ai familiari la disponibilità dei 600mila euro serviti per l’estinzione del mutuo, ma per il pubblico ministero Elena Guarino quell’operazione serviva invece a riciclare somme che erano arrivate sul suo conto tramite società off shore riconducibili agli armatori D’Amico, su cui è in corso un’inchiesta a Roma per evasione fiscale. (c.d.m.)

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