Scambiato per rapinatore e arrestato 

Il 19enne Vincenzo Marzano è rimasto per quattro mesi ai domiciliari prima che una perizia dimostrasse la sua innocenza

Che valore hanno quattro mesi nella vita di un ragazzo? Che traccia lasciano 120 giorni di arresti domiciliari, trascorsi a sperare che la giustizia trionfi sull’iniquità? Per il 19enne cavese Vincenzo Marzano non si è trattato di un incubo già dimenticato al risveglio. L’impossibilità di uscire per godersi il sole del mondo gli ha lasciato un segno. E, in qualche modo, una paura inconscia che la sola consapevolezza di essere innocente non basti.
Tutto è iniziato una sera del 23 settembre dello scorso anno nell’area Metropark, il parcheggio vicino alla stazione. Una coppia è minacciata da un giovane con una pistola “soft air”. Entrambi sono costretti a cedere la loro auto e il cellulare. Un altro ragazzo è posizionato all’uscita della stazione: fa il cosiddetto palo e controlla che non arrivi nessuno. La rapina si compie e la coppia, benché spaventata, la sera stessa presenta denuncia. Le forze dell’ordine iniziano le indagini, che portano a individuare il ragazzo che ha minacciato la coppia con l’arma. Si tratta di un giovane cavese che, dopo diversi interrogatori e aver cambiato diverse volte versione, indica Vincenzo, che conosce vagamente, come suo complice. Marzano viene interrogato e si dichiara subito innocente. Le indagini continuano e, alla fine, le forze dell’ordine lo accusano di correità. Il giovane non va in carcere perché incensurato, ma gli vengono dati gli arresti domiciliari, che iniziano il 13 ottobre dell’anno scorso e termineranno solo il 22 febbraio. Sono giorni difficili per il 19enne. Il suo avvocato, Giovanni Gioia, per supportare la linea difensiva che lo proclama innocente, dispone una perizia eseguita dall’ingegnere Nicola Manzo, la quale dimostra che il giovane, quella sera, non poteva essere all’uscita del Metropark a fare da palo. Ci sono i testimoni che lo confermano e i rilievi delle telecamere che mostrano un ragazzo dal volto coperto che però, per corporatura e altezza, non poteva essere Vincenzo Marzano.
Il processo si celebra. Il giovane cavese va avanti per la sua strada. Sceglie di non patteggiare: è innocente e lo dimostrerà. Alla fine il giudice Paolo Valiante lo assolve per “non aver commesso il fatto”. Giustizia è fatta. Ma da allora Vincenzo non riesce a dimenticare il limbo in cui ha vissuto per più di quattro mesi. «Io ho detto subito che ero innocente, ma non mi hanno creduto – racconta – In quei giorni di arresti domiciliari non sono riuscito mai a dormire. Ero agitato e naturalmente preoccupato per la mia situazione. Mi sentivo un animale in gabbia. E poi le forze dell’ordine venivano a controllare se ero a casa bussando nel cuore della notte e questo aggravava la mia ansia. È stato terribile. Soprattutto perché sapevo di non aver fatto nulla».
Adesso la sua vita è ripresa, ma non è più come prima: «Ho dovuto interrompere il mio lavoro per quattro mesi ed è stato difficile riprendere. La mia fidanzata è stata licenziata quando il suo datore di lavoro ha saputo che ero ai domiciliari, e la gente mi guarda ancora con sospetto per strada. Dai loro sguardi capisco che mi giudicano colpevole e che non credono alla mia innocenza: questo mi ferisce molto». Nonostante le difficoltà, sta tentando di riprendere in mano la sua vita: «Sto cercando di recuperare il ritardo maturato nel lavoro e mi sto impegnando per costruire il mio futuro – conclude – Spesso ripenso a quei 120 giorni e sto valutando se rimanete di chiedere i danni per il trauma psicologico che ho subìto».
Alfonsina Caputano
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