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Scafati, raid in nome del clan Quattro in carcere

Le minacce di morte ai fratelli Filetti per ottenere la cessione di un terreno. Scatta il decreto di fermo dell'Antimafia per estorsione legata alla camorra

SCAFATI. Minacce di morte, raid intimidatori, pedinamenti. Una sorta di strategia del terrore andata avanti per giorni, stroncata i ieri mattina da un decreto di fermo che ha portato in carcere gli scafatesi Giovanni Fusco, 59 anni, il figlio Giuseppe di 30, il 44enne Raffaele Esposito e Alessandro Maddaloni, 25 anni. Il blitz è scattato all’alba, accompagnato da una raffica di perquisizioni eseguite dalla Direzione investigativa antimafia con l’ausilio dei carabinieri di Scafati e del reparto territoriale di Nocera. I fermati sono ritenuti contigui al clan Loreto-Ridosso, figure emergenti che stavano tentando la scalata criminale dopo che precedenti ordinanze di custodia avevano messo agli arresti i capi. In questo contesto si inserisce il tentativo di estorsione per il quale il sostituto procuratore antimafia Vincenzo Montemurro ha firmato il provvedimento di fermo, e su cui si sta ancora indagando per raccogliere elementi su altri coinvolti.

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I fatti. Oggetto dell’estorsione è un terreno di mille metri quadrati acquistato a maggio dai fratelli Alberto e Antimo Filetti e adiacente alla loro ditta di prodotti ortofrutticoli “L’ortolana”. Da quella compravendita, chiusa per 32mila euro, è trascorso poco più di un mese quando il 17 giugno Giovanni Fusco si presenta in azienda accompagnato da Maddaloni, mostra la pistola che porta nella cintola e avverte che quell’appezzamento di terra serve a lui. La minaccia ad Alberto Filetti è esplicita: «O me lo dai o uccido a te e a tuo fratello». Ed è solo la prima. In quella stessa giornata il figlio Giuseppe farà irruzione nel piazzale dello stabilimento, i titolari non ci sono ma alcuni dipendenti lo riconoscono quando si toglie il casco integrale da motociclista dopo aver seminato il panico scorrazzando a tutta velocità in sella a uno scooter, insieme con un complice a bordo di un altro ciclomotore di grossa cilindrata che però non toglie mai il casco e non viene identificato. I Filetti sentono il rombo dei motori e le grida rabbiose dalla loro abitazione che si trova nelle vicinanze, poi scopriranno che un dipendente è stato preso a schiaffi per farli rintracciare e che poi è stato affidato a lui il nuovo messaggio di morte: «Li vado a trovare io, gli sparo in bocca».

Ma non è ancora finita. In tarda mattinata arriva di nuovo Giovanni Fusco, affiancato da Raffaele Esposito, cercano i proprietari che non ci sono e stavolta ad essere schiaffeggiato è l’ingegnere che aveva curato la pratica di compravendita, che si trovava in azienda per caso e che una volta andato via si accorgerà di essere seguito. Neanche la madre dei Filetti è risparmiata dal clima di terrore. Richiamata dal trambusto la donna si era affacciata al balcone e Giovanni Fusco l’aveva riconosciuta: «Non è finita qui, te li sparo in bocca ai tuoi figli».

Il terreno.Sull’area contesa aveva le sue mira anche un ex dipendente comunale, Emilio Donnarumma, confinante del venditore, che è estraneo al provvedimento di fermo ma che secondo la ricostruzione degli inquirenti si sarebbe lamentato di non essere stato interpellato per l’esercizio di una prelazione e, soprattutto, non avrebbe celato le intenzioni di mettere comunque le mani sul terreno. Era il 16 giugno quando avrebbe detto che quei suoli se li sarebbe presi in ogni modo, un giorno prima che nella sede dell’Ortolana iniziassero i raid intimidatori. Lo stesso venditore è stato minacciato dai Fusco, al punto da chiedere ai Filetti di cedere alle pressioni «se no quelli ci vengono a incendiare di notte». Ma per gli imprenditori quella terra era solo il pretesto per un’estorsione, visto che era chiaro che la cessione sarebbe dovuta avvenire gratis.

Il clan. A tutti i fermati è stata contestata l’aggravante camorristica. Per gli inquirenti è evidente che il potere intimidatorio delle minacce era legato ai rapporti con il clan. «Non può esservi dubbio alcuno – si legge nel decreto di fermo – sul fatto che gli emissari si siano presentati ammantandosi della loro risaputa organicità o contiguità al gruppo criminale Loreto-Ridosso. Di più, non di semplici emissari si è trattato, ma di personaggi che allo stato assumono la funzione di referenti del citato sodalizio in ragione dell’assenza, per detenzione, dei relativi capi storici». Tra i protagonisti spicca Giovani Fusco, per carisma ed esperienza delinquenziale», ma nel complesso quello che emerge è «l’esistenza di un gruppo di persone che con metodi mafiosi pone in essere condotte estorsive in pregiudizio di imprenditori locali».

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