LA DECISIONE

Scafati, «Patto per i videopoker». Bambace resta in carcere

Asse coi Matrone per l’egemonia sul territorio: niente sconti all’imprenditore

SCAFATI - Affari con la criminalità organizzata scafatese per ottenere il monopolio della gestione dei videopoker tra l’Agro nocerino sarnese e l’hinterland vesuviano. Regge, dunque, l’impianto accusatorio della Procura Antimafia di Salerno, visto che la Cassazione ha ritenuto «inammissibile» il ricorso sulla decisione del gup e del Riesame di Salerno per Filippo Bambace , imprenditore residente a Scafati a originario di Gragnano, per il quale era stata applicata la custodia cautelare in carcere in relazione al reato dì partecipazione a reati con clan di camorra operanti sul territorio di Scafati e zone limitrofi per tentativo di illecita concorrenza con violenza o minaccia aggravato dal metodo mafioso e per favoreggiamento personale aggravato.

Il blitz è quello del dicembre scorso operato dalla Dda che portò all’arresto di 21 persone tra cui esponenti dei clan Cesarano, Matrone e Loreto/ Ridosso accusati di aver taglieggiato imprenditori forti dell’appartenenza camorristica.

Secondo l’accusa, con l’aiuto degli esponenti criminali della zona, Bambace imponeva servizi e slot ad imprenditori titolari di esercizi commerciali e quando qualcuno “osava” rifiutarsi il gruppo non esitava a minacciarli anche con armi da guerra. E nella motivazione della Cassazione i giudici romani fanno riferimento a Giuseppe Buonocore , genero di Franchino Matrone ’a belva, e promotore del pizzo dalla base del bar Roxy. «Buonocore nelle intercettazioni informava persone a lui vicine degli accordi raggiunti da Bambace con un altro commerciante per la installazione di slot machine si legge nelle motivazioni della Cassazione - . Buonocore era intervenuto personalmente per fare inserire gli apparecchi di Bambace in un bar come risultava sia da una conversazione e sia dalle stesse dichiarazioni della vittima, ben consapevole della portata della sollecitazione e della copertura mafiosa di Bambace».

Lo stesso imprenditore originario di Gragnano, secondo la Cassazione, «aveva assunto un atteggiamento omertoso nei confronti dell'autorità giudiziaria da cui era stato sentito, negando ogni coinvolgimento nel settore delle macchinette in quanto gestito dal clan Cesarano».