LA SENTENZA

Salerno, terapia dimezzata a un bimbo autistico

Il piccolo compie progressi miracolosi con il metodo Aba ma l’Asl riduce le ore di riabilitazione: la madre va al Tar e vince

SALERNO - L’Asl gli riduce le ore di riabilitazione, la mamma va al Tar e i giudici gli danno ragione. È finita in tribunale la vicenda di un minorenne salernitano affetto da autismo, per i cui diritti la famiglia si è resa protagonista di una dura battaglia, affinché le terapie sperimentate, che avrebbero prodotto risultati eccellenti, proseguano sulla falsariga di quanto avvenuto finora. Una storia drammatica e travagliata, quella del bambino che sin dal 18esimo mese di vita aveva iniziato a manifestare una grave disabilità, e in particolare «disturbo dello spettro autistico con regressione delle competenze linguistiche e mimico-gestuali acquisite, iperattività e tendenza ad isolarsi, limitazione degli interessi e linguaggio limitato a poche parole». In base alla diagnosi, eseguita presso l’unità operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Ruggi di Salerno, il disturbo era da considerarsi al massimo livello di gravità, impedendo al piccolo di compiere autonomamente le attività di vita quotidiana, ripercuotendosi anche sul linguaggio.

La situazione non lasciava molte speranze ai parenti, i quali però non si arrendevano: una volta che l’Inps aveva riconosciuto l’handicap del bimbo, la famiglia, rivolgendosi agli organi competenti, si era messa alla ricerca di terapie idonee che potessero sfociare in un miglioramento. Il percorso riabilitativo iniziava a tre anni con la psicomotricità e la logopedia, fino al terzo anno di scuola materna, ma i risultati tardavano ad arrivare. Poi la svolta, quando alla riabilitazione psicomotoria un intervento di tipo cognitivo-comportamentale denominato Aba, al fine di lavorare «sulla promozione delle competenze comunicative verbali, ampliando le competenze sociali, di interazione e di condivisione e migliorando la motricità globale». Concluso il terzo anno di scuola materna, il bimbo entrava a far parte del progetto sperimentale nel suo centro riabilitativo. Il metodo Aba aveva consentito di apprezzare i primi progressi dal punto di vista comportamentale ed anche a scuola, fino a miglioramenti ritenuti inimmaginabili. Nella fattispecie, il piccolo era ormai in grado «di controllarsi anche in strada, migliorando l’attenzione condivisa ed il contatto oculare ». Anche a scuola e nelle relazioni con gli altri le cose sembravano andare finalmente per il verso giusto, grazie al supporto delle terapiste «che avevano dispensato procedure per far sì che il bambino potesse comportarsi in modo appropriato nell’ambiente».

Ma sul più bello, per la famiglia salernitana, arrivava la doccia fredda: se il piano redatto per il 2020-2021 prescriveva 22 ore di sostegno «prendendo atto della contemporanea frequentazione del centro», in un secondo momento, i tempi del trattamento venivano drasticamente ridotti: si stabiliva infatti un numero di ore, 8 a settimana, che significava una notevole limitazione del cammino riabilitativo. Uno “schiaffo” ritenuto immotivato e inaccettabile dalla madre del piccolo, che ha impugnato il provvedimento al Tar. E i giudici, nel prendere atto dei disagi elencati nell’articolato ricorso, hanno deciso di accoglierlo, annullando gli atti del Dipartimento di Salute Mentale e del distretto sanitario, nonché della deliberazione regionale relativa al Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale. L’azienda sanitaria, per effetto della sentenza, sarà chiamata «alla revisione dei progetti anzidetti e, ove necessario, alla rideterminazione dei monti ore mensili di intervento sanitario in misura congrua rispetto alle patologie sofferte».

Francesco Ienco