IL PERSONAGGIO

Salerno, settant’anni di storia: chiude la bottega dell’ultimo calzolaio

Con Gerardo Russo termina la lunga tradizione di famiglia «Ho iniziato con papà Domenico, ma ora sono stanco...»

SALERNO - Lascia le scarpe che martella, incolla e risuola soltanto per porgere una busta a una delle affezionate clienti. Poi non toglie mai lo sguardo dal tacco delle décolleté in cui sta infilando un chiodo. Gerardo Russo , alias Aurelio, è entrato per la prima volta nella bottega di calzolaio alle spalle di Largo Barbuti quando aveva 15 anni. A insegnargli il mestiere c’era il padre Domenico. Lì dentro ha trascorso lunghi anni rimettendo a nuovo le scarpe di centinaia di salernitani del Centro storico. Dopo giornate di lavoro e di sacrifici, ora, però il signor Aurelio è stanco e ha deciso di chiudere. L’attività, come indica il cartello alle sue spalle, cesserà il prossimo 31 di ottobre, dopo 70 anni di vita.

«Mancheranno la bravura, l’onestà e la gentilezza che non sono mai mancate nè quando c’era il padre nè poi con il figlio», assicura una delle clienti affezionate. «L’unico rammarico dopo tanti anni - confida il calzolaio - è che non c’è nessuno a cui posso trasmettere il mio mestiere. Il mio ultimo figlio si è laureato soltanto 10 giorni fa e non pensa proprio a questo tipo di lavoro...». Nessuno dei 4 figli (3 femmine e un maschio) avuti con la signora Adriana, ha voglia di continuare il mestiere del nonno e del padre ma nemmeno nessun giovane artigiano si è mai proposto come apprendista.

«Dopo tanti anni di lavoro e sacrifici ora mi godo la famiglia e il riposo. Potrò fare cose banali, semplici ma che non ho mai potuto fare perché sono stato sempre a lavorare», racconta. E poi c’è ancora il papà Domenico di cui prendersi cura alla veneranda età di 96 anni, ancora lucido come quando era in bottega a insegnare come far rinascere le scarpe malandate dei salernitani di ogni età. «Che cosa mi mancherà di più di questi anni? Il rapporto con i clienti che - spiega - si è sempre fondato sul rispetto reciproco. Tanti, negli anni sono diventati anche amici che qui hanno trovato non soltanto una bottega ma anche un posto dove essere accolti con garbo e dove essere anche ascoltati ». Con l’addio del signor Aurelio chiude anche un pezzo di quel mondo di persone e di commercianti che compongono la storia di una Salerno che non esiste più.

«Innanzitutto racconta - il quartiere era più popoloso. All’inizio c’erano contrabbando di sigarette e prostituzione, poi è arrivata la droga. Probabilmente, in quegli anni il degrado era molto più di quello che c’è adesso ma c’era tanta più umanità nelle persone. Le giovani generazioni non hanno nemmeno il senso minimo di quello che significava la solidarietà e il rispetto. Quando qualcuno cadeva erano in tanti a soccorrerlo, ora non è più così e, anche se si era più poveri tutti, stavamo certamente meglio». È quel senso di comunità e di quartiere che il calzolaio della bottega di Largo dei Barbuti non ritrova più e di cui era probabilmente - uno degli ultimi baluardi. «Mi raccomando la foto di mio padre, fatela uscire sul giornale...», è l’unica raccomandazione dopo tanta pazienza a districarsi nella sistemazione delle ultime scarpe rimaste sugli scaffali.

(e.t.)