Salerno nella storia, ecco il lungomare

Domani in edicola con “la Città” la cartolina che chiude la collezione dedicata alle antiche vedute della città

Domani, in abbinamento gratuito con “La Città”, i lettori riceveranno la riproduzione dell’ultima foto d’epoca della raccolta “Salerno com’era – la città nell’album del tempo”.

La stampa ritrae il Lungomare a metà del Novecento, negli anni della sua stessa genesi. A commentare il fotogramma abbiamo invitato Biagio Scanniello, esperto di verde ornamentale ed ex direttore del Verde pubblico di Salerno, che sottolinea la radice storica dei nostri giardini sul mare: «Il Lungomare, oggi depauperato delle sue palme dal famigerato punteruolo rosso è pensato e avviato a realizzazione tra il finire degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, dopo il secondo conflitto mondiale, che aveva visto Salerno, violentemente bombardata dalle forze di guerra che si confrontavano. Alla fine del conflitto, con l’inizio della ricostruzione, si pose il problema dell’accantonamento dei numerosi detriti, senza dover compiere lunghi e costosi percorsi con i poveri mezzi di trasporto utili. Si pensò di contemperare l’utile e il dilettevole (il paesaggio), utilizzando la zona di Santa Teresa come sede per ospitare lo scarico dei detriti e, sottraendo spazio al mare, creare quella che poi diverrà la passeggiata numero uno della città, ovvero il Lungomare Trieste».

La presenza di sottostanti detriti nella zona del lungomare è stata anche confermata da appositi rilievi realizzati dal Comune negli anni passati. «Attraverso una serie di sondaggi campione, sul finire degli anni Novanta, l’ufficio Verde pubblico del Comune di Salerno, all’epoca diretto dal sottoscritto – prosegue Scanniello – accertò che la stratificazione ottenuta era rappresentata da appena 80-90 cm di terreno vegetale, ospitante tutto l’impianto botanico, che sovrastano tutto il materiale inerte proveniente dai fabbricati abbattuti nel vicino centro storico della città. Sul terreno vegetale riportato sui detriti furono realizzate le aiuole, poi ristrutturate negli anni Settanta e Ottanta, e su di esse allocata tutta la vegetazione del lungomare».

Nella foto in edicola domani con “La Città”, oltre le palme ancora nane, si nota già un filare di platani che sono evidentemente più antichi: «E’ il filare di platani e dei lecci (quescus ilex), che furono impiantati all’incirca negli anni Trenta, a delimitare l’attuale carreggiata del lungomare Trieste. Peraltro, come documentato da riferimenti storici e ricostruzioni botaniche, ancora fino al primo Ventennio del Novecento, la Villa comunale si estendeva fino all’attuale sede dell’amministrazione provinciale, svolgendo, sostanzialmente la funzione di Lungomare».

Ma l’immagine dei bei filari di palme è rimasto ormai solo nelle cartoline, per l’attacco feroce dei parassiti. «L’impianto originario del Lungomare ha fatto affidamento, dal punto di vista botanico, sostanzialmente sulle Phoenix canariensis, e, quindi, orientato verso una monocultura che si è rivelata, con l’attacco del “Rhynchophorus ferrugineus”, una scelta sbagliata. Infatti la varietà colturale è la vera garanzia di stabilità del paesaggio. Ripetersi sarebbe un errore», spiega Scanniello.

Per questo stesso motivo, nell’ipotesi di una riconversione arborea del lungomare attuale, Scanniello si dice contrario anche alla proposta di impiantare un grande uliveto: «Non sono per scelte mono-colturali. Se gli ulivi rientrano in un contesto progettuale articolato e comprensibile, ben vengano, ma se si pensa a un “uliveto” direi proprio di no. Ci sono varietà straordinarie di alberature che potrebbero arricchire con colori, forme e varietà il nostro lungomare. Rischiare ancora con palme è irresponsabile, il punteruolo ne è la dimostrazione. L’unica vera garanzia resta la varietà botanica».

Paolo Romano

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