Salerno, lungoirno completa: ci sono voluti 16 anni

Apre al transito dell’ultimo tratto. Il cantiere fu inaugurato il 4 febbraio 1999 dal premier D’Alema

SALERNO. È finita! Ancora poche ore e, finalmente, anche l’ultimo tratto della lungoirno – quello che passa sotto il fascio di binari a sud della stazione ferroviaria, con due tunnel carrabili e altrettanti pedonali – sarà fruibile. Un vecchio proverbio campano dice, grosso modo, che “la coda è la parte più difficile da scorticare”, e così è stato anche per questo tratto della lungoirno, il più complesso da realizzare, perché costruito con i treni in transito (circa 300 ogni giorno), secondo i tempi e le modalità dettati dalle Ferrovie. Per realizzare quei quattro trafori, ciascuno lungo oltre 60 metri, sono stati impiegati cinque anni, di cui quattro solo per superare i vari problemi burocratici.

Ora c’è solo da augurarsi che anche la circolazione veicolare lungo tutto l’asse, dalla stazione ferroviaria di Fratte fino al mare, sia rivista e riportata ad una visione unitaria. Attualmente, infatti, è la sommatoria delle soluzioni adottate per le aperture dei singoli tratti che si sono succedute nel corso di oltre 16 anni. Sì, avete letto bene: per costruire tutta la lungoirno ci sono voluti più di tre lustri. Dunque, tempi tutt’altro che europei.

L’avvio con il premier D’Alema. Il via ufficiale ai lavori fu dato il 4 febbraio del 1999 dall’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, che indossò un casco e salì a bordo di una pala meccanica dando inizio alla demolizione dei container per i senza tetto in via Cacciatori dell’Irno, nel cantiere della cosiddetta “piastra di via Nizza”, cioè dell’unico tratto dove il fiume è stato coperto. Prima D’Alema era stato a Palazzo di Città per presenziare alla firma della convenzione tra il sindaco Vincenzo De Luca e l’allora amministratore delegato delle Ferrovie, Raffaele Cimoli, per il via libera alla costruzione della metropolitana. Complessivamente per le due opere erano stati stanziati 180 miliardi delle vecchie lire: 75 per la metro e 105 per la lungoirno. Una curiosità: quel giorno l’allora presidente di Assotutela, Agostino Gallozzi, consegnò al premier un documento contro la proposta del ministro Treu di unificazione delle Autorità portuali di Napoli e Salerno, vicenda tornata di attualità proprio in questi giorni.

Il progetto iniziale del 1987. Ma torniamo alla lungoirno. Alla costruzione della strada, però, l’amministrazione comunale lavorava già da anni. Il termine “lungoirno” comparve però per la prima volta in una delibera di Giunta del 1987, su proposta dell’assessore ai lavori pubblici, Fulvio Bonavitacola, dell’allora giunta laica e di sinistra guidata dal sindaco Vincenzo Giordano. E, contrariamente alla vulgata popolare che ne attribuisce la paternità all’ex ministro Carmelo Conte, un ruolo di primo piano per ottenerne il finanziamento fu svolto dal deputato Italico Santoro del Partito repubblicano. Tra i motivi rappresentati a sostegno dell’iniziativa ci furono innanzitutto quelli di protezione civile, in quanto in occasione del terremoto del 23 novembre del 1980 ci si rese conto che la sola via Irno non era sufficiente a garantire l’evacuazione e i collegamenti con le autostrade in caso di calamità naturali. La costruzione della nuova strada fu finanziata con fondi della legge 64.

Il progetto iniziale però non convinse i salernitani, in quanto prevedeva la copertura del fiume e la costruzione di viadotti (sul modello di quelli autostradali di Fratte), in particolare uno che collegava via Prudente con la tangenziale. Si raccolsero migliaia di firme e i sottoscrittori trovarono una buona sponda nell’allora giovane assessore comunale all’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, divenuto ministro diversi anni dopo. Il terremoto giudiziario di tangentopoli (che trovò imitatori di Di Pietro anche a Salerno, con processi che poi si sono conclusi con l’assoluzione degli indagati) bloccò gran parte dei progetti in città, tra cui anche quello della lungoirno.

La strada urbana di Bohigas. Per la sua ripresa bisognerà attendere la seconda metà degli anni Novanta e in particolare l’approvazione dell’Aapu lungoirno (Area di puntuale attuazione urbanistica) elaborata da Oriol Bohigas (l’architetto catalano incaricato di redigere il nuovo Piano regolatore della città), che assegna alla zona lungo la sponda destra del fiume l’obiettivo di una profonda rigenerazione urbana, con parchi, residenze, edifici di culto e funzioni superiori (uffici giudiziari). Per cui la lungoirno viene concepita come una strada urbana a tutti gli effetti e non più come una sorta di tangenziale. La gara per la progettazione viene vinta dalla società Bonifica di Roma e quella successiva per la costruzione se l’aggiudica la Inc di Torino.

Alla nuova strada, oltre all’attraversamento della città, viene assegnato anche il compito di collegare vari quartieri, fino ad allora separati dal fiume, con la creazione di nuovi ponti (a monte dell’abitato di Fratte, all’altezza dell’attuale teatro Ghirelli, del Parco Pinocchio e dell’ex mercato ortofrutticolo), il rifacimento di alcuni preesistenti (rione Calcedonia, via Cacciatori dell’Irno) per adeguarli alle nuove normative in caso di piena del fiume) e la costruzione di un ponte pedonale (che finiva nel balcone di un’abitazione e successivamente modificato).

Le difficoltà lungo il tracciato

Da via Farao alla foce del fiume. Innumerevoli i problemi affrontati lungo tutto il tracciato che, considerando anche la bretella di collegamento dalla stazione di Fratte a Pellezzano, è di circa 3,5 chilometri. In via preliminare, ci fu da risolvere quello della linea elettrica ad alta tensione che alimentava la stazione ferroviaria, prevedendo l’abbattimento di diversi tralicci su via Irno, via Prudente, via Farao e via Dalmazia. A spese del Comune l’Enel realizzò una nuova linea interrata. Con le Ferrovie fu poi intavolata una lunga e costosa trattativa per la cessione dei suoli lungo il fiume (anche per consentire la successiva costruzione della cittadella giudiziaria), che hanno comportato, tra l’altro, l'abbattimento di prefabbricati post terremoto e di capannoni dello scalo merci (funzione che poi, con l’assegnazione di nuovi suoli, fu trasferita a Pontecagnano). Sempre in quel tratto, il Comune ha dovuto demolire il vecchio mattatoio e l’ex mercato ortofrutticolo, realizzandone uno nuovo nella zona industriale. Operazione per cui l’allora sindaco De Luca subì pure un processo – perché gli veniva contestato di voler trasferire una funzione commerciale in un’area industriale – e che rischiava di bloccare tutto l’iter di trasformazione in corso (i salernitani più anziani ricorderanno i camion in fila dalle quattro di mattina lungo tutta via Silvio Baratta e via Settimio Mobilio in attesa di entrare al mercato). Tra le varie preesistenze c’era anche un’autorimessa dei carabinieri a ridosso dei binari, dove ora sono stati realizzati i sottopassi. All’altezza della foce dell’Irno problemi non ce ne furono in quanto il Comune qualche anno prima aveva già demolito l’ex cementificio realizzandovi un’area di parcheggio.

Da Fratte a Calcedonia. Anche in questo tratto, per fare avanzare il tracciato, le questioni da risolvere sono state davvero tante: a partire dal rifacimento del ponte ferroviario della linea Salerno-Mercato San Severino, a monte dell’abito di Fratte, per il quale il Comune si accollò per diversi mesi i costi per il tasporto sostitutivo su autobus dei viaggiatori dalla stazione di Salerno fino a quella di Fratte. Un po’ più giù c’era la vecchia fabbrica “Fonditori Salerno”, per cui si rese necessario approvare una variante al Piano regolatore: la fonderia si trasferì nella zona industriale e in cambio dei suoli per far passare la strada il Comune autorizzò la costruzione, attualmente in corso, di residenze progettate da Fuksas. Con lo stesso meccanismo, di una variante ad hoc, furono acquisite anche le aree dell'ex Salid: edifici per residenze uffici e negozi in cambio dei suoli per la strada e per il parco dell’Irno (dalle demolizioni furono salvate la ciminiera con le fornaci, utilizzate sporadicamente come spazio espositivo, e il vecchio mulino ad acqua che è stato recuperato e trasformato in teatro). Identica procedura (temporalmente fu la prima) anche per l’area delle ex terme Campione, dove ora sono in costruzione alloggi sui suoli residuati dal passaggio della strada e dalla realizzazione del Parco Pinocchio. Rispetto al progetto originario, però, è stata apportata una modifica: inizialmente il parco fluviale doveva essere unico, ora però il Parco Pinocchio e quello dell’Irno sono divisi da un parcheggio, sebbene ci sia un viale di collegamento. Per fortuna, a differenza di altre opere pubbliche, l’impresa aggiudicataria dell'appalto non è fallita. Ciò non significa che non ci siano stati problemi di natura finanziaria, che ebbero inizio con il trasferimento delle competenze di cassa per le opere finanziate con la legge 64 dallo Stato alle Regioni. In Campania si bloccarono i pagamenti degli stati di avanzamento dei lavori e solo grazie ad una intelligente e ferma protesta sindacale, con ripetute manifestazioni degli edili a Salerno, Napoli e Roma si riuscì ad evitare che l’opera si bloccasse. Alla fine, addirittura diversi stati di a vanzamento lavori furono utilizzati dalla Regione come “progetti sponda” per non perdere quote di finanziamento europeo.

L’arredo urbano. Oltre ai ponti, con la lungoirno sono state realizzate pure tre rotatorie: la prima a Fratte, la seconda all’altezza del Parco Pinocchio e la terza da inaugurare domani insieme ai sottopassi. Quella del Parco Pinocchio all’inizio era anche una fontana ma successivamente, siccome si rompeva sempre, è stata trasformata in aiuola. L’altra fontana, invece, disegnata proprio da Bohigas (suo anche il progetto dei lampioni), è quella monumentale del tratto finale accanto al Grand Hotel. Anche questa ha dato grattacapi per la manutenzione e proprio in questi giorni si sta provando a ripararla.

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