LE VOCI

Salerno, Istituto Vicinanza: la richiesta di insegnanti e genitori

Con il trasloco del Tribunale civile nella nuova cittadella si rendono liberi molti spazi

SALERNO. La non sempre facile coabitazione tra l’Istituto comprensivo “Vicinanza” e il Tribunale, che con alcune sezioni occupa il cortile e alcuni spazi dell’edificio scolastico, è destinata a terminare con il trasloco degli uffici giudiziari all’interno della Cittadella giudiziaria. Quale sarà il destino di questi spazi, una volta liberati, però, non è ancora definito, né si è avuta ancora conferma di una voce che circola negli ambienti giudiziari circa una possibile collocazione nell’edificio delle scuole Vicinanza degli uffici dei giudici di Pace.
Intanto, ormai da anni, il corpo insegnanti e le famiglie chiedono che i locali vengano messi a disposizione delle attività didattiche e che, finalmente, ai piccoli studenti sia data la possibilità di usufruire di uno spazio sicuro all’aria aperta. «Per noi – precisa un gruppo di mamme che ha appena preso i bimbi all’uscita – sarebbe assolutamente auspicabile che le aule tornino alla scuola. La nostra è una battaglia antica per migliorare la qualità della vita dei nostri figli che non hanno uno spazio adeguato per l’educazione motoria, né un refettorio. Ora mangiano in un buco che chiamiamo mensa. Per fortuna, non ne ho la necessità, ma non farei mai pranzare i miei figli in quel posto che non è affatto adeguato». Una mamma, in particolare, ricorda che anni fa fu presentata anche una petizione con le firme di gran parte delle famiglie, proprio con questo obiettivo. «In generale – spiega – c’è carenza di aule e di spazio, ma è assurdo che i bambini debbano fare ginnastica in classe, senza mai andare in cortile a muoversi. Per loro è anche un modo per socializzare, per confrontarsi in maniera sana, ma, ad oggi, questa possibilità è preclusa».
Anche le maestre chiedono a gran voce di poter utilizzare quelle aule e quel cortile, ormai liberato da faldoni e fascicoli. «Sono anni che attendiamo, è una lotta vecchia ma nessuno ci ascolta – considera la maestra Felicita Bruno – non abbiamo un luogo per l’attività motoria, nessuno spazio per i laboratori. E già soltanto poter portare gli studenti in cortile sarebbe una grande cosa, ora, quando proviamo, rischiano addirittura di farsi male». Non solo, perché, aggiunge la maestra Agnese Calciano, «avremmo in cantiere tanti progetti e idee da poter realizzare, dai laboratori all’informatica, passando per i più diversi sport». C’è anche un’ulteriore disagio rilavato dalla maestra Amalia Improta, una colonna della scuola con i suoi venti anni di attività. «Speriamo che vada via presto anche il Tribunale penale – dice – ogni volta che c’è un allarme bomba siamo costrette a far uscire tutti i bambini in strada con le conseguenze che questo comporta e i rischi connessi. Nei primi anni avevamo almeno 6 allarmi al mese con conseguente evacuazione, ora sono diminuiti, ma è assurdo dover continuare così. In tutto – precisa – si muovono 800 studenti, esclusi gli insegnati, è un manicomio. Purtroppo abbiamo fatto di tutto per farci ascoltare, ma finora non è cambiato nulla e sono anche scettica che questo trasloco alla Cittadella giudiziaria effettivamente si faccia», conclude amara.
«Le aule devono essere della scuola ed è assurdo pesare di mettere ancora personale della giustizia qui”, sentenzia la signora Evelina De Rosa, una delle nonne in attesa dell’uscita da scuola dei nipoti. «Non è concepibile che questi bambini debbano mangiare in uno spazio angusto e non aver un refettorio accogliente e degno di una scuola. Inoltre, alcune aule sono terribili, si colga l’occasione – aggiunge la nonna – per una manutenzione generale, piuttosto che pensare a nuovi giudici da trasferire qui». Sulla stessa linea anche un papà, il signor Benito Arpaia. «A questa età è fondamentale che i bambini studino, ma altrettanto tempo e attenzione deve essere dedicato anche alle attività all’aperto e allo sport. Non è concepibile che i piccoli dell’asilo debbano fare ginnastica vicino al banchetto. Ecco perché – conclude – poi noi genitori siamo costretti a pagare pur di fargli fare attività fisica».

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