IL REPORT

Salerno, «Il carcere è terra di nessuno per 17 ore»

Il garante Ciambriello lancia l’sos: negli istituti penitenziari della provincia la media è di un agente ogni due detenuti

SALERNO - «Abbiamo bisogno di qualche agente penitenziario in più, dopo le 15 il carcere è una terra di nessuno fino alle 8 del mattino». Suonano come una preghiera le parole del garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Samuele Ciambriello , una nota legata al mondo della comunità carceraria che tocca tutti, non solo il personale ma anche gli stessi detenuti, una criticità che emerge nel report presentato nella giornata di ieri alla Caritas Diocesana proprio da Ciambriello con la collaborazione dell’Osservatorio Regionale sulla detenzione. Ciambriello ha puntato l’attenzione sulla rieducazione, reinserimento, della detenzione come “non unica” strada bensì solo una delle pene che si possono attuare, è stata messa in risalto anche la questione riguardante il personale negli istituti penitenziari della provincia di Salerno, Fuorni, Eboli e Vallo della Lucania.

Per quanto riguarda Salerno il garante Ciambriello ha evidenziato una carenza di agenti di custodia, così come di personale socio educativo: il rapporto è di 1 agente ogni due detenuti, nei tre istituti nel Salernitano sono 537, gli agenti di polizia penitenziaria sono 265. «Per Fuorni ho già avuto modo di sollecitare l’attenzione delle amministrazioni carcerarie competenti sulla carenza di agenti di custodia e di personale socioeducativo - ha dichiarato Ciambriello - C’è la necessità di avere educatori non a distanza, sono figure importanti, anche per gli eventi critici, lo scorso anno sono stati 15 i tentativi di suicidio nel carcere di Salerno. È importante capire come si sviluppa la vita detentiva, un’altra cosa che vorrei far notare ad esempio è che in molte università non c’è esame di diritto penitenziario, questa è sicuramente una mancanza».

Nel carcere di Salerno, inoltre, ci sono 53 detenuti stranieri e il garante campano parla anche in relazione a questo dato: «Devo rilevare, anche in questo territorio, l’assenza di mediatori culturali coerentemente con l’andamento generale degli istituti di detenzione della Regione Campania. È importante il ruolo dei Funzionari Giuridico Pedagogici per migliorare l’esecuzione penale affinchè sia improntato al trattamento e non all’afflizione». Su questo tema si è espresso con forza anche monsignor Andrea Bellandi , arcivescovo metropolita di Salerno, Campagna e Acerno. «C’è attenzione da parte nostra verso la realtà carceraria, non parliamo di numeri ma di persone, una persona non è lo sbaglio che ha commesso ma è più grande, c’è sempre una possibilità di recupero aperta, una possibilità di ricominciare. La pena non può essere identificata come una chiusura e una detenzione. A noi interessa una rieducazione, può passare dalla separazione della vita civile ma deve comprendere momenti diversi, di socializzazione anche con la realtà esterna altrimenti non ci sono passi per ripartire».

Sulla qualità del reinserimento si è espresso il procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli : «La situazione del carcere risponde a una esigenza di civiltà, è evidente che una funzione rieducativa della pena pone la necessità di svolgersi anche in ambienti che siano dedicati a questo scopo. La Procura di Salerno ha iniziato una interlocuzione anche con gli organi forensi per favorire la possibilità, anche per i soggetti deboli, di potersi avvalere dei benefici che sono alternativi alla detenzione. Una esigenza importante in questo momento di pandemia. Il carcere dovrebbe essere l’ultimo dei rimedi possibili, corrisponde all’esigenza di salvaguardare la società, l’ordine pubblico ma non deve trasformarsi in una vendetta postuma ».

Verifiche sono state annunciate dalla presidente del Tribunale di Sorveglianza di Salerno Monica Almirante : «Il carcere si porta dietro un pregiudizio. Non è solo un discorso di bontà ma di intelligenza, le persone sono chiamate a una condanna ma dobbiamo pensare a come possiamo reinserirle nella società. Per me non è quanto manca alla pena che fa la differenza ma è il percorso che viene fatto da ogni singola persona. La necessità di investimenti sulla qualità dei percorsi, verifichiamo l’idoneità delle strutture in un percorso di reinserimento».

Marco Rarità