LA STORIA

Salerno, fallimento ventennale: ora paga lo Stato

Nel 1996 il crac del farmacista, la procedura chiusa solo nel 2016. La Corte di Cassazione: «Processo lumaca, risarcitelo»

SALERNO - Fallito. Un epiteto gravoso, ai tempi dello sfrenato “danarocentrismo”, del valore d’un uomo mestamente calibrato sulla cinica unità di misura delle migliaia d’euro al chilo. Vietato fallire, nell’era del capitalismo. E guai a lasciarsela appiccicare addosso, l’etichetta del “fallito”: agli occhi d’una certa (dis)umanità censocratica, il crac di un’azienda è un po’ come la peste, e chi cala la serranda dev’essere tenuto alla larga. Quant’è duro il default quando il mondo si misura in soldi.

Lo sa bene Nicola (nome di fantasia), un farmacista del ’42, frattese d’origine e salernitano d’adozione, protagonista d’una procedura fallimentare che s’è trascinata per vent’anni. Tanto, troppo: così la giustizia si fa ingiusta. Tant’è che lo Stato dovrà risarcirlo, l’ex farmacista: ordine delle toghe ermelline della Corte di Cassazione, che hanno accolto il ricorso di Nicola, assistito dall’avvocato Bruno Guaraldi . Roma boccia Salerno, passando un colpo di spugna sul decreto della Corte d’Appello, che a dicembre 2018 aveva rigettato l’opposizione del farmacista al “niet” del consigliere delegato, respingendo la domanda d’equo indennizzo, avanzata dall’imprenditore, per la violazione della durata ragionevole della procedura fallimentare. È il risarcimento previsto dalla famosa “legge Pinto”: un ristoro che oscilla tra i 400 e gli 800 euro per ogni anno di troppo. Perfino un potente magistrato non può oltrepassare il “termine ragionevole”: sei anni per la legge 89 del 2001, tra i cinque e i sette secondo le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. Non di certo un ventennio, come quello patito da Nicola, che era titolare d’una storica farmacia di via Irno, a ridosso del centro di Salerno. Una procedura fallimentare che prese il via dinanzi al Tribunale di Salerno a giugno del 1996 - quando l’imprenditore aveva 54 anni - e che venne chiusa soltanto a novembre 2016. Nicola, ormai, era 74enne. Oggi ne ha 78, ed è ammalato.

Gli hanno portato via i veicoli, una barca, perfino una casa di famiglia in riva al mare, ad Acciaroli, in comunione con i figli. Gli vennero inflitte pure le pene accessorie dell’incapacità d’esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa e dell’inabilitazione all’attività commerciale. Per dieci anni, in entrambi i casi, con una sentenza divenuta definitiva nel 2012. A 14 anni dall’avvio d’una procedura fallimentare che avrebbe visto la fine soltanto nel 2016. Nel 2017, Nicola chiese l’indennizzo al consigliere delegato: l’algida risposta fu che non gli spettava il becco d’un quattrino. Fece opposizione. La Corte d’Appello la rigettò, ché «la condotta del fallito non aveva agevolato le operazioni di recupero delle somme», visto che «la durata della procedura » sarebbe stata «influenzata negativamente anche dalla condotta dei figli»: i giudici si riferivano alla casa nel Cilento. «Dopo aver aderito ad una transazione - scrissero - non avevano onorato gli impegni presi, rendendo necessaria la successiva vendita all’incanto del bene». Giustizia irragionevole, per le toghe della Sesta sezione civile della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Luigi Giovanni Lombardo . «La legge scrivono nel dispositivo - non condiziona in alcun modo il diritto del fallito all’equo indennizzo alla circostanza di aver agevolato le azioni di recupero, essendo questo un compito affidato agli organi della procedura».

Accelerare, insomma, spetta alla curatela e al tribunale, non all’imprenditore fallito: il risarcimento non è correlato all’aiuto offerto dal privato. Bocciato pure il Ministero della Giustizia, che aveva proposto un ricorso incidentale: l’Avvocatura generale dello Stato lamentava la presentazione tardiva della richiesta d’indennizzo, appellandosi ad un refuso nella memoria difensiva del farmacista. Erroneamente a pagina 2 c’era scritto che il ricorso era stato depositato nel 2018. Era il 2017, e lo mostrano gli atti di causa, snobbati dal Ministero. E la Corte di Cassazione cancella il decreto salernitano: Nicola, 78 anni, invalido, tornerà al cospetto di un’altra sezione della Corte d’Appello. Obbligata a riconoscergli l’indennizzo per il crac iniziato 24 anni fa. E a far lo stesso pure con una commerciante cavese, difesa da Guaraldi, socia d’una ditta che vendeva capi d’abbigliamento: in quel caso la procedura era iniziata nel ’96 e s’era chiusa addirittura nel 2017. Ventun anni. Il passo di lumaca della “giustizia ingiusta”, lenta sui fallimenti altrui. L’auspicio è che non faccia lo stesso coi suoi, di fallimenti.