la vertenza

Salerno, ancora un “no” dal giudice Le Fonderie non riaprono

Rigettata l’istanza di dissequestro: «Il piano industriale è incompleto»

SALERNO. «Incompleto e poco particoleraggiato». Così il giudice delle indagini preliminari Stefano Berni Canani definisce il piano industriale con cui le fonderie Pisano avevano provato a ottenere il dissequestro dell’impianto. E per questo, per la seconda volta in meno di un mese, dice “no” a una riapertura anche parziale dello stabilimento di via Dei Greci. Il documento firmato dal proprietario Mario Pisano è tutt’altro, secondo il gip, da quel «serio piano industriale» che già a luglio e di nuovo a metà ottobre aveva posto come condizione per acconsentire a una ripresa dell’attività produttiva. La documentazione depositata non basterebbe nemmeno per un via libera a scartamento ridotto, con gli altiforni accessi all’ottanta per cento delle loro possibilità come chiedeva, in via subordinata, l’istanza presentata per l’azienda dall’avvocato Guglielmo Scarlato. Per il giudice manca una consulenza tecnica, che precisi come si arrivi a individuare in quella percentuale il livello di riattivazione parziale che permetterebbe di contemperare le esigenze di salubrità poste dai residenti con quella aziendale di smaltire almeno le commesse già ricevute. Poco dopo le 14 di ieri il gip ha quindi firmato il nuovo decreto di rigetto sull’istanza di dissequestro, che adesso lascia all’impresa solo lo spiraglio al Riesame. Il ricorso al Tribunale della libertà era già stato presentato dopo il rigetto del 13 ottobre e l’udienza è fissata al 28 novembre, quando una terna di giudici sarà chiamata a confermare o revocare il diniego.

Nell’unica pagina del decreto di rigetto, il giudice Berni Canani ha spiegato ieri che il piano industriale firmato da Pisano «necessiterebbe di integrazioni e rivalutazioni» e suggerisce di sottoporne alla Procura, e non al gip, un’eventuale nuova stesura, affinché i magistrati inquirenti facciano le loro valutazioni nominando se del caso un consulente, esercitando poteri istruttori in questa fase preclusi al giudice delle indagini preliminari. Per adesso ritiene che restino confermate tutte le perplessità che hanno motivato il diniego di ottobre, quando – pur prendendo atto dei rilievi dell’Arpac che ad agosto attestavano il rientro delle emissioni nei parametri di legge – confermava la chiusura dell’impianto in virtù di fumi che continuavano a risultare oltremodo molesti, come testimoniavano denunce dei residenti e relazioni della polizia giudiziaria. Per superare gli ostacoli, e consentire la riapertura sotto l’egida di un amministratore della produzione da affiancare al custode giudiziario, era stato chiesto un piano che specificasse tra l’altro «lo smaltimento del magazzino, i costi di produzione e soprattutto l’assorbimento e la gestione economica del personale». Soprattutto su quest’ultimo elemento, individuato dal gip come «unico dato prospettico frutto di una seria programmazione aziendale», l’elaborato firmato da Mario Pisano sarebbe risultato carente. Senza contare che resta inalterata la valutazione negativa data sull’autorizzazione integrata ambientale, che al momento risulterebbe irregolare

L’azienda incassa quindi il terzo provvedimento negativo, dopo la conferma del sequestro d’urgenza disposta a luglio e il rigetto di ottobre. Adesso spera nel Riesame e intanto cerca per la delocalizzazione della fabbrica un sito alternativo a quello di Campagna, dove il fronte del “no” fa da argine al progetto di trasferimento illustrata al tavolo del Ministero dello sviluppo economico. Due – dicono le indiscrezioni – le altre località che saranno proposte. E torna in auge l’ipotesi di Giffoni Valle Piana, arenatasi nei mesi scorsi sullo scoglio di una sentenza del Tar.

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