IL FATTO

Salerno, Abusò di un 13enne: prete condannato

Otto anni di reclusione a don Livio Graziano, accusato di violenze su un ragazzino durante un soggiorno estivo

SALERNO - Otto anni di reclusione: questa la condanna inflitta ieri dai giudici del tribunale di Avellino a don Livio Graziano , il parroco dell’Avellinese fondatore della struttura i “Figli di Emmaus”, di Prata Principato Ultra, accusato di aver abusato sessualmente di un 13enne salernitano ospite della struttura.

Il pm titolare della pubblica accusa, il sostituto Procuratore Lorenza Recano , al termine della sua requisitoria, aveva chiesto 11 anni di reclusione; quindi le arringhe degli avvocati della parte civile costituita (i genitori), gli avvocati salernitani Giovanni e Benedetta Falci , e i difensori dell’imputato, gli avvocati Gaetano Aufiero e Gianpiero De Cicco . I giudici, dopo una camera di consiglio durata poche ore, hanno emesso il loro verdetto, condannando il religioso a otto anni di carcere per il reato di violenza sessuale su minore.

L’inchiesta prese il via nel 2021 dopo la denuncia del padre del 13enne dopo il ritrovamento di alcuni messaggi sospetti inviati da don Livio sul telefonino del ragazzino. Gli abusi sarebbero avvenuti proprio in una delle strutture che facevano capo al sacerdote finito nell’inchiesta della Procura di Avellino.

Il religioso fu arrestato nell’ottobre dello scorso anno sulla base dell’ordinanza di custodia cautelare firmata da Francesca Spella , giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale d’Avellino, su richiesta del procuratore capo d’Irpinia, Domenico Airoma . Il prete, secondo l’accusa, aveva abusato, a più riprese, del ragazzino che aveva trascorso l’estate all’interno d’uno dei centri della onlus “Effatà-apriti”, la cooperativa sociale che il sacerdote 51enne, originario d’Aversa, nel Casertano, aveva messo su a Prata di Principato Ultra, paese di 3mila anime in provincia d’Avellino.

Don Livio, secondo la ricostruzione dell’accusa, scriveva di continuo al 13enne salernitano: messaggi su messaggi, poi interrotti ai primi d’ottobre, quando, con ogni probabilità, il sacerdote avrebbe appreso d’essere nel mirino degli inquirenti.

Le indagini della Procura d’Avellino, che s’è avvalsa del supporto dei carabinieri del Nucleo investigativo irpino, diretti dal capitano Pietro Laghezza , furono assai celeri. I pm nominarono una psicologa, che ritenne più che attendibili le rivelazioni del minore. Nel frattempo procedevano le indagini dei carabinieri che, grazie a una perizia informatica, recuperarono le foto del bambino nudo rimosse dal prete da un dispositivo elettronico e, su indicazioni del ragazzo, ritrovarono preservativi e lubrificanti nella stanza e nel bagno del religioso.

I tre consulenti nominati dalla difesa dell’imputato, nel corso del dibattimento, hanno tentato di replicare alle accuse mosse nei confronti del loro assistito. In particolare uno dei consulenti mise in evidenza alcune circostanze che di fatto escluderebbero le ipotesi contestate all’imputato. Ma alla fine i giudici hanno ritenuto valide le tesi di pm e parte civile condannando il prete.