la storia

Rita De Feo, un'operaia tra i banchi per suo figlio down

Non c’è aiuto per il piccolo Simone: costretta a fare da sola

BELLIZZI. La chiamano “assistenza materiale alla persona”, nella sostanza quello che una volta faceva il caro vecchio bidello (ora “promosso” a personale Ata, ostico acronimo che si traduce in amministrativo-tecnico-ausiliario): portare cioè gli alunni in bagno od aiutarli nelle pratiche più elementari. Ebbene per il piccolo Simone, sei anni da compiere a novembre fresco di debutto nel mondo della scuola, non c’è, appunto, l’assistenza materiale alla persona. E la sua mamma ora sarà costretta a passare le sue mattinate a scuola per accompagnarlo in bagno o cambiargli il pannolino. Perché Simone è un bimbo speciale, un bimbo down ed invalido totale.

Mamma Rita De Feo, operaia e vedova da appena un anno, ha iscritto il piccolo Simone alla scuola elementare Rodari di Bellizzi. Prima elementare, grembiulino blu e fiocco al collo: come tutti gli altri bambini si è presentato in classe e ha preso posto nel suo banco; ma Simone, però, ha estremamente bisogno di quella cosiddetta “assistenza materiale” che dovrebbe essergli garantita dagli operatori del Piano di zona. Perchè il bambino ha problemi di incontinenza ed è costretto a portare il pannolino. Quindi va cambiato in bagno, pulito, rivestito e riportato in classe. Ma per lui non c’è questa “assistenza materiale”, e la mamma è costretta tutte le mattine a rimanere con lui a scuola.

«Sono sola e combatto per i diritti di mio figlio - racconta la signora Rita - ma fino ad ora ha incontrato soltanto muri e barriere. Quando ho iscritto Simone all’istituto comprensivo di Bellizzi, nel gennaio scorso, ho fatto richiesta sia alla segreteria che alla dirigente scolastica, allora la professoressa Silvana D’Aiutolo, che a mio figlio venisse assicurata l’assistenza materiale alla persona. La scuola è iniziata il 14 settembre scorso ed al mio piccolo Simone non è stato dato nulla di quanto gli spettava di diritto. Così sono costretta ad assisterlo io: la mattina lo porto a scuola e mi accomodo in corridoio. Se ha bisogno intervengo e provvedo».

La signora Rita è operaia in un’azienda agricola: la settimana prossima inizierà i turni e sarà un problema: «Lunedì devo essere in azienda, chi aiuterà Simone? Al mio piccolo deve essere assicurata l’assistenza perché come tutti i bambini ha diritto all’istruzione, ha bisogno di crescere insieme agli altri. La scuola è di tutti e per tutti. Sono molto amareggiata, non è possibile che a lezioni già cominciate nessuno si sia preoccupato di mio figlio...».

Un racconto pieno di amarezza quello della signora Rita: «È dalle materne che combatto contro i mulini a vento. Tanti ostacoli solo perché il mio Simone è un disabile?».

«Sia il Sindaco di Bellizzi, Mimmo Volpe, che la nuova dirigente scolastica, la dottoressa Patrizia Campagna - aggiunge - mi hanno detto che si sono attivati affinchè Simone abbia l’assistenza dovuta. Ma sia chiaro a tutti: non avrò pace finchè il mio unico figlio non avrà i diritti che gli spettano per legge e non sarà messo in condizione di poter seguire le lezioni come tutti gli altri bambini».

«Anno scolastico nuovo, nuovi problemi per i ragazzi diversamente abili - commenta Angelo Di Tore, presidente dell’Adi, l’Associazione diversamente abili) - Ormai si ripete da qualche anno: alcune volte manca un’assistenza materiale ai disabili ed altre volte quella specialistica. La prima è a carico delle scuole, la seconda a carico dei Comuni, istituzioni spesso prive di fondi per far fronte a questi problemi».

«È iniziato un nuovo anno scolastico - sottolinea Di Tore - e la signora Rita De Feo si ritrova in trincea a combattere con le istituzioni per far sì che suo figlio Simone abbia quei diritti che le leggi e la Costituzione garantiscono a tutti, tranne però ai diversamente abili. La scuola non nomina gli insegnanti di sostegno, e se li nomina sono a mezzo servizio. Lo Stato taglia i fondi alle scuole, alle politiche sociali; e le famiglie, già allo stremo per problemi e di lavoro od economici, devono anche avviare costosi procedimenti giudiziari per vedere riconosciuti i propri diritti. La condizione di questi ragazzi - conclude il presidente dell'Adi - è il frutto delle politiche dei governi poco attente al welfare. E allora non resta altro da fare che lottare per vedere riconosciuti i propri diritti, anche nelle aule giudiziarie».