LA SENTENZA

Ristorante Nettuno a Capaccio, “assolto” Italo Voza 

La Corte dei Conti scagiona anche i tecnici del Comune pestano e il gestore Samaritani

CAPACCIO PAESTUM. Quel bene di «inestimabile prestigio», affacciato sulla Valle dei Templi, per anni è stato letteralmente dimenticato dallo Stato (leggi Prefettura di Salerno) che non ne ha mai formalizzato l’acquisizione, affidandone la cura ad un volenteroso gestore. Una storia surreale che stava per costare cara all’ex sindaco di Capaccio Paestum, Italo Voza, al gestore dell’immobile per conto dell’Ente per le antichità ed i monumenti della provincia di Salerno, Carlo Samaritani, ed ai tecnici e funzionari comunali Rodolfo Sabelli, Carmine Greco, Vincenzo Criscuolo, Mario Barlotti, ai quali la Procura della Corte dei Conti aveva contestato un danno erariale di 735mila euro. E questo perché, ad avviso dell’accusa, la società a cui era stato fittato l’immobile dove è allocato il ristorante Nettuno (al 95% di Maria Giuseppa Pisani e al 5% a Ottavio Voza, rispettivamente moglie e figlio dell’ex primo cittadino) aveva pagato per anni un fitto irrisorio: mille euro al mese a fronte dei 9.941 stimati dall’Agenzia delle Entrate. Fin qui l’accusa, ora completamente ribaltata in sede di sentenza. I giudici della Corte dei Conti della Campania (presidente Michael Sciascia, relatore Romeo Ermenegildo Palma, referendario Cosmo Sciancalepore) hanno mandato assolti tutti gli “imputati” (sentenza che di certo peserà anche sulla nuova procedura aperta dalla Procura della Corte dei Conti che contesta, stavolta, un danno di un milione di euro), accogliendo la tesi sostenuta dal legale di Voza, l’avvocato Gaetano Paolino che, suo malgrado, si è dovuto calare per mesi nei panni di topo di biblioteca per risolvere la vexata quaestio. Perché, alla fine, la materia del contendere era questa: di chi era ed è, in definitiva, quel complesso immobiliare? Dell’Ente per le antichità ed i monumenti della provincia di Salerno (che lo ha di fatto gestito in tutti questi anni) o del Comune di Capaccio che ne divenne proprietario nel novembre del 1931? .
L’acquisto e la donazione. Ripartiamo dall’inizio, come hanno fatto i giudici. Nel 1931 l’allora commissario prefettizio di Capaccio decide, per dotare l’area archeologica di Paestum “di un posto di sosta e ristoro che risponda alle esigenze delle elevate classi sociali che normalmente visitano le bellezze dei templi” di acquistare l’immobile dei Manzi-Forlani. Acquisto sponsorizzato dall’allora prefetto che ci mise anche i soldi. Un anno dopo, siamo nel 1932, il Comune di Capaccio stabilì di “donare l’immobile al nuovo Ente, con effetto dalla data della sua costituzione, il fabbricato e sue dipendenze...”. Il nuovo Ente era appunto quello per le Antichità e i monumenti della provincia di Salerno, nato qualche tempo dopo, col Regio decreto del 5 febbraio del 1934. Un ente morale, con tanto di statuto e patrimonio, in cui rientrava la proprietà donata dal Comune. Dunque, l’immobile, con l’atto di dotazione sancito dal Regio decreto, passava così sotto il controllo dell’Ente prefettizio. «Il trasferimento è avvenuto all’atto di creazione/erezione dell’Ente morale». Il problema vero è che dal 1934 in poi, non si è proceduto a formalizzare nulla. Tant’è che ad oggi - scrivono i giudici - tale passaggio di proprietà non risulta trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari, anche se, senza dubbio, l’immobile è dell’Ente per le antichità. E la sua gestione ha senza dubbio finalità pubbliche, affermano i giudici della Corte dei Conti. Tant’è che doveva essere la Prefettura a compiere gli atti - mai eseguiti - di registrazione e a nominare di volta in volta i gestori. L’ultimo atto compiuto dagli uffici del Palazzo di Governo risale al maggio del 1954 con la nomina di un commissario straordinario, il dottor Bottiglieri, che alla sua morte passò il testimone a Samaritano, attuale gestore, col placet della Prefettura. Poi più nulla. Dunque, per i giudici, il danno erariale da risarcire al Comune di fatto non c’è, perché l’Ente non è più titolare del bene immobile. Nè è imputabile a Samaritano che, anzi, ha svolto diligentemente il suo compito, sopperendo - secondo i giudici - alle omissioni e mancanze della stessa Prefettura di Salerno. Un papocchio, insomma. Tant’è che i giudici hanno trasmesso la loro sentenza all’attuale prefetto Malfi, «affinché adotti gli atti di propria competenza e ponga in essere l’attività di impulso e vigilanza prevista dal Regio decreto del 1934».
©RIPRODUZIONE RISERVATA