L'INTERVENTO

Ripensare la politica come libertà

Massimo Gramellini nel suo editoriale "Operazione San Gennaro” del 20 settembre sul Corriere della Sera: «Di Maio...un giovane vecchio, senza studi né esperienze lavorative memorabili, che viene iscritto da un’azienda privata di comunicazione alla corsa per Palazzo Chigi...”. L’affermazione provoca un sentimento di forte preoccupazione, perché è un dato oggettivamente vero, e rimanda il tema, dimenticato dal mondo politico, di cosa sia la rappresentanza politica, di come si costruisce la partecipazione democratica, di come si governa lo sviluppo della democrazia. Nessuno ne parla, non conviene, la fedeltà al capo di turno è comoda, la cosa importante e utile: «è arrivare». Questa dinamica imperante del sistema politico italiano è il vizio di fondo che sconquassa la ricerca del consenso e ha occupato da 25 anni lo spazio riservato ai partiti del secolo scorso, che al netto di degenerazioni, rappresentavano, selezionavano, presentavano i migliori. La fine della democrazia dei partiti ha contribuito a rendere più debole la politica, che per sua genesi è il luogo della libertà, anche libertà dal capo e da padroni, dove la ricerca è premessa di costruzione di nuove idee, di comprendere meglio il mondo, di competere per la soluzione più giusta e appropriata. Camminare in questo spazio di libertà provoca fatica, rinunce, incertezza, ma è l’unico modo per ridare senso all’impegno civico e politico per alimentare la passione morale per rifiutare questo consapevole conformismo a ribasso. Il Paese si è rassegnato al conformismo, alla cattiva prassi, al vassallaggio, alla modalità di ricerca del consenso sempre più condizionato da logiche di scambio che marginalizza e rende impossibile il dibattito pubblico, rendendo l’elettore debole preda della emotività perché non libero di partecipare e di pensare. Ripensare alla politica come libertà è forse la strada che potrà portarci fuori dalla crisi.