IL PERSONAGGIO

Rinaldi, l'impiegato-scrittoreche inventa le favole

La storia dello scrittore salernitano che ha conquistato anche gli adulti

Gianni Rodari scriveva: "Le favole dove stanno? C’è ne una in ogni cosa. E’ una bella addormentata e bisogna svegliarla". Claudio Rinaldi, salernitano con la passione per la scrittura, la favola l’ha svegliata molti anni fa in occasione della nascita di sua figlia Elena alla quale dedicò la sua prima raccolta di storie: "Cuore di favola" Ma la scrittura, quella creativa, l’ha sempre coltivata ereditandola dalla madre e dal nonno. Oggi i suoi libri girano per il mondo tanto che il network arabo Al Jazeera children ha tradotto e trasmesso una sua fiaba. Una scrittura sintetica, poco descrittiva ma che colpisce per la semplicità immediata e diretta che conduce il lettore all’immediata comprensione del messaggio. «La favola nasce all’improvviso. Ogni cosa può offrirmi l’ispirazione: da un pasticcino ad una molletta. L’osservazione prima e la fantasia poi trasformano il tutto in un racconto. Una ruga che dialoga con il naso ad esempio, due virgolette che si raccontano. Insomma prendo spunto da ogni cosa».
Ma la fiaba è solo un racconto per i bambini?
«Benedetto Croce sosteneva che se le fiabe fossero solo per bambini allora ci sarebbe la decadenza della favola. Le mie storie sono per tutti, anzi mi piacerebbe vedere bambini leggere favola agli adulti».
Favole anche per adulti che mettono sott’accusa il mondo dei grandi. Quali sono i temi principali?
«Dai problemi relativi all’ambiente (la raccolta eco scentifica "Le formiche salvarono il mondo") al lavoro minorile. Nelle mie favole la morale non è, come spesso accade, alla fine, ma all’interno. La puoi leggere all’inizio o al centro del racconto. Quello che conta è il messaggio. Un criceto che fa girare una ruota per alimentare una fabbrica di palline colorate diventa un bambino sfruttato; una fibra di legno che diventa carta per un quaderno di un bambino è la denuncia per la costante deforestazione. Ma anche nel male del quotidiano vivere trovo sempre questa speranza positiva. Come il sacrificio di un granello di zucchero che muore nella tazza del caffé di un signorotto cattivo per rendere più dolce la vita di quest’uomo».
In quest’epoca dove i bambini sono distratti dalla tecnologia: computer, televisione, videogame, esiste ancora la possibilità di affascinarsi con una favola?
«Sicuramente. Il fascino di una favola è la capacità di attirare l’attenzione dei bambini, nell’individuare nei loro occhi questa luce magica di meraviglia. Per me è una grande emozione riuscire a suscitare questa meraviglia, catturare la loro attenzione ed il loro desiderio di sapere come gli oggetti della nostra quotidianità prendono forme e sembianze umane e si raccontano. In questa realtà così trita eliminare la fantasia significa annullare gran parte di noi stessi. Non scrivere più favole è come prendere tre quarti del mio cuore. Io non sono contrario alla modernità. Al computer piuttosto che ai videogame, ma insisto sull’importanza della lettura».
Per questo ha ideato programmi didattici per le scuole?
«Sì. Ho presentato diversi programmi per avvicinare le favole alla scuola. Ho contatti in tutto il mondo ed i miei programmi sono stati presi in considerazione da scuole russe, del Qatar, della Palestina e di Israele. Il mio sogno è quello di mettere in comunicazione due scuole in quella terra distrutta dalla guerra. Mi piacerebbe lavorare sull’integrazione razziale ed utilizzare la favola come strumento di socializzazione tra bambini di etnie diverse. Salerno, malgrado le promesse, non ha risposto con interesse alla mia proposta; al contrario di altre scuole italiane che mi hanno invitato a presentare i miei libri piuttosto che ha parlare delle favole in generale. Proprio per questo mio interesse alla socializzazione interraziale tra bambini attraverso le fiabe sarò invitato alla trasmissione di Maurizio Costanzo».
Oggetti che prendono vita per denunciare i mali del mondo. Oltre ai temi quali sono i valori che intende comunicare attraverso una fiaba?
«L’amore. L’amore verso gli altri e verso se stessi; l’amicizia; la solidarietà; affrontare con gioia anche le cose più dure della vita e poi la capacità di amare ed essere amato. I sentimenti, tutti i sentimenti».
Sua figlia legge le sue fiabe?
«Sì, ed è molto critica. Spesso mi corregge. Lei è una fan di Moony Witcher ed è appassionata di thriller e mi chiede spesso di scriverle un thriller. Prima o poi lo farò».
A costa sta lavorando?
«Attualmente mi sto concentrando sulla stesura di una raccolta di fiabe dedicate alla città, per raccontare le cose che il bambino vede uscendo di casa. Cose non fantastiche, ma reali e concrete, che nella favola si trasformano in personaggi reali mettendo in guardia i bambini dai pericoli ma anche offrendo loro una visione diversa delle cose che ci circondano».
Ci dia qualche anticipazione: "C’era una volta".
«Bé! Ad esempio "Il pianeta della monnezza" ovvero l’amore tra un cassonetto dell’immondizia e la plafoniere di un lampione. Un amore travagliato perché a causa dei rifiuti mai rimossi il cassonetto non riuscirà più a vedere il suo amore, la luce».
Fiabe brevi ed immediate, è un modo per assecondare la velocità dei tempi moderni?
«Forse. Ma principalmente credo che la lettura non debba tediare il lettore, che la curiosità vada immediatamente soddisfatta e dunque bisogna arrivare alla fine immediatamente. Scrivo una favola in dieci minuti e in un mese produco un libro. La mia scrittura è rapida ed istintiva, è sempre stata così».