L'INTERVENTO

Ridiamo voce al nostro Mezzogiorno

Coinvolgere le Regioni su progetti e obiettivi “visibili” per un nuovo patto sociale

La vuota parata degli “ Stati Generali “ ha avuto un solo punto fermo: la “riscoperta” del Mezzogiorno e la ineluttabilità, se si intende cambiare il corso economico e sociale del paese, di un radicale cambiamento del “modello di sviluppo” . Partire dal Sud per lo sviluppo dell’Italia . Non è merito nè di Conte nè del governo e nemmeno dei partiti e delle forze sociali, sindacati e confindustria . Al contrario. Invece di raccogliere un “assist” tanto giusto quanto inoppugnabile e insperato, è seguito un vuoto pneumatico. Latitante la sinistra, balbettante il sindacato, fuori gioco e inerti le Regioni meridionali . Nel silenzio di un Sud senza voce e senza rappresentanza politica con l’eccezione positiva ma isolata del Ministro Provenzano, è stato il Governatore della Banca d’Italia a evidenziare la assoluta esigenza di un rovesciamento copernicano del cosiddetto “modello di sviluppo” . Un passaggio autorevole e perentorio: «Se non si parte dal Sud non solo si perpetua lo strabismo Nord-Sud ma non ci sarà rinascita possibile». Una equazione limpida impostata per la prima volta con forza e nettezza da una autorità non “di parte”. Anzi, “super partes” .

Tuttavia, allo stato, nè il governo e nemmeno la sinistra e il sindacato sembrano raccogliere il messaggio che è politico, sociale, economico. Ancora peggio è il silenzio delle Regioni del Sud che si presentano disarmate, senza un progetto vero, senza tensione ideale, culturale e politica per proporre programmi concreti e unitari e non stantio “meridionalismo d’accatto”. Si pensa solo alle elezioni senza programmi. La Campania e il Sud in questi anni hanno pagato la crisi profonda della economia e del sistema industriale che ha tradotto la deindustrializzazione in desolazione improduttiva, aggravata dal vuoto progettuale e operativo dei governi territoriali e dal nodo scorsoio imposto agli Enti Locali sia con la rapina delle risorse sia per l’incombere del “Codice degli Appalti”. Contrastare il declino , nella latitanza di ogni politica per il Mezzogiorno da parte di tutti i governi e nel silenzio della sinistra, è come scalare l’Everest senza sherpa e a mani nude . Con il “Covid 19” è ancora più difficile. Il disastro economico, produttivo e sociale che investe il “sistema Italia” nel Mezzogiorno diventa disperante per l’esplodere di nuova disoccupazione e più ampie e diffuse povertà .

La fragile ragnatela della sopravvivenza di massa può spezzarsi . Affrontarlo, come necessario e urgente, significa consolidare l’apparato produttivo e l’occupazione al Nord con un oceano di risorse per Cig e sostegni alle imprese; al Sud, per riproporre un “assistenzialismo “ sconfinato. Si perpetua lo “status-quo”. Si tampona ancora una volta l’emergenza . Miliardi di risorse perché nulla cambi . Anzi: saranno ancora più profonde le disuguaglianze tra Nord – Sud . Questa drammatica realtà impone di riflettere sul “Che Fare” e sul ruolo delle forze politiche e sociali del Mezzogiorno e, in primo luogo del sindacato, nel pieno di una crisi epocale che brucia il Nord ma travolge e schianta soprattutto il Sud . La “polveriera sociale” di lungo periodo che mette insieme la precarietà con le conseguenze della «infezione della povertà», come ha scritto Enzo Mauro su “Repubblica”, impone di rivendicare ,nello interesse del Paese , uno sviluppo che abbia perno nel Mezzogiorno . Il Sud non può essere storicizzato come un pezzo di Italia assistita e senza speranza. È tempo di una radicale inversione di rotta . È la crisi che esige un mutamento profondo del cosiddetto “modello di sviluppo” che liquidi l’idea stessa di un Mezzogiorno “palla al piede” del “ Sistema Italia”. Urge una “rivoluzione di sistema” ed è soprattutto lo schieramento riformista e il Sindacato in primo luogo , che hanno il compito straordinario e difficile di tradurre la crisi in positive opportunità. La prima : dalla nuova forza che può derivare dallo esercito dei lavoratori del precariato dei “mille mestieri”; dalle migliaia di nuovi occupati nella Sanità e nella P.A.; dalla stabilizzazione degli “invisibili” immigrati senza diritti dell’agricoltura; dalla cantierizzazione di miliardi di fondi Ue per attivare progetti congelati nei cassetti dei ministeri ,delle Regioni e dei Comuni . Sono punti di attacco per nuove , “missioni” saldando emergenza e ripresa. La seconda è un netto punto politico : rilanciare una grande battaglia, “Il Mezzogiorno per l ‘ Italia «come fondamenta di un nuovo “patto sociale “.

Urge uno scatto per dare voce al silenzio del Mezzogiorno. Una sfida politica e sociale verso il governo ,le regioni ed anche verso la Confindustria di Bonomi su una precisa scelta tra conservazione e rinnovamento. Obiettivi: programmi per lo sviluppo sostenibile; la salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente; la filiera agroindustria; per infrastrutture materiali e immateriali (non solo Tav e autostrade ma pendolarità, reti trasversali ,viabilità aree interne ,ecc); industria 0.4 ; per il turismo e il comparto arte – cultura ; per la innovazione e qualità dei servizi e della vita dei cittadini , finalizzati alla occupazione e al blocco della emigrazione giovanile e dello spopolamento delle aree interne. Il “ Piano per il Mezzogiorno del Ministro Provenzano è un valido attacco, ma non basta. Occorre una più ampia visione politica , maggiori risorse , un più forte rapporto con l’Ue e , soprattutto ,va riempito di obiettivi “visibili” coinvolgendo le Regioni su tre punti: cosa fare , dove fare, come fare. Se anche Visco lo dice, chi e cosa si aspetta? Urge dunque uno scatto per dare voce al lungo silenzio del Mezzogiorno . Forse, purtroppo per il Sud e per il Paese, è un problema di classe dirigente” .