IL DOSSIER

Regione deluchizzata: ecco l’effetto Salerno

Pd primo partito in Campania: ma è il secondo risultato peggiore dal 2008

SALERNO - Pochi giorni dopo le elezioni regionali, in Campania torna l’obbligo delle mascherine all’aperto. Ma questo non è un rilievo malizioso. Questo è un dubbio politico-elettorale. Cos’altro sarebbe accaduto, se De Luca avesse imposto la stessa misura alla vigilia delle elezioni? La risposta non è scontata, considerando il quadro locale e nazionale. Partiamo dal presupposto che tutte le Regioni ordinarie hanno confermato i loro colori, tranne le Marche. È normale intravvedere nella continuità almeno un riflesso della crisi sanitaria. I presidenti sono diventati grandi protagonisti, grazie ai social media e ai confronti con il Governo: così hanno conquistato il “popolo” che stava attraversando il deserto. In questa situazione De Luca, secondo per forza elettorale dietro Zaia, ha portato in Campania un “effetto Salerno”. E alcuni paradossi.

Escursione nella storia. Le tabelle della pagina sintetizzano i voti dei partiti in Campania nelle 3 competizioni principali. I numeri basilari sono estratti dall’archivio storico del Viminale. Le nostre elaborazioni hanno prodotto tre serie storiche, la massima escursione possibile per lo scenario italiano (il Pd è stato fondato nel 2007, il movimento grillino è apparso nel 2010). I dati delle preferenze sono arrotondati per facilitare la lettura. Invece le percentuali sono calcolate sui voti esatti, quindi costituiscono il parametro più puntuale. Le percentuali spiegano le dinamiche dei partiti fra un anno elettorale e l’altro. Ovviamente ogni tipo di elezione ha le sue regole e i suoi interessi, quindi un confronto fra Politiche, Europee e Regionali è improprio. Tuttavia le terne rivelano qualche tendenza interessante.

Seggi poco affollati. Consideriamo innanzitutto l’affluenza: il 55,4% del 2020 supera di poco (3,5 punti percentuali) il record negativo del 2015, quando De Luca sconfisse Caldoro. Il dato non autorizza trionfalismi. Infatti il presidente confermato ha usato toni molto sobri durante la prima conferenza stampa. Esattamente come cinque anni fa, inoltre, l’affluenza bassa ha favorito il centrosinistra. Quando le urne sono state più affollate (2010) il risultato è stato opposto. Fra le variabili della campagna elettorale, forse bisogna considerare lo scarso appeal dei protagonisti e dei comprimari, evidentemente limitati al consueto perimetro del popolo elettore.

Un amarcord. A Salerno, città storicamente conservatrice, De Luca ha scompaginato la destra ufficiale fin dal 1993, anno della prima elezione diretta. Nei decenni a seguire, la scomposizione ha continuato a sviluppare un circolo vizioso (o virtuoso, dipende dai punti di vista): il centrodestra, per diversi motivi, ha presentato sempre candidati risultati deboli. Nel 2020 la stessa situazione alla Regione. Ma i riflessi interessano lo stesso centrosinistra.

Il Partito democratico. De Luca in Campania, come Emiliano in Puglia, ha preparato una coalizione di 15 liste, cioè un esercito di candidati a caccia di voti. Il Pd diventa il primo partito della regione, soprattutto grazie ai flop degli altri. In realtà i dem arretrano rispetto al 2019 e tornano alle posizioni del 2018. Quello della scorsa settimana è il secondo risultato peggiore dal 2008, cioè da sempre. Alcuni candidati di area Pd hanno presidiato le liste civiche, certo, ma questo accadeva anche nelle precedenti Regionali.

Le preferenze. La coalizione deluchiana ha totalizzato 1,6 milioni di voti. Il presidente è andato meglio: 172.500 preferenze aggiuntive lo hanno portato vicino a 1,8 milioni, con un incremento intorno al 10% rispetto alle liste. De Luca ha fatto registrare sempre divari positivi: circa 7,5% nel 2015 e 18% nel 2010, quando però vinse Caldoro.

Ex Dc deluchisti e De Mita. L’ampia affermazione del presidente uscente sembra “oscurare” gli ex democristiani arrivati nel suo campo (Mastella e Pomicino). Per la prima volta, inoltre, De Mita non è determinante. Il centrista di Nusco in passato ha retto le insegne dell’Udc, spostandole da Caldoro (2010) a De Luca (2015). In entrambi i casi ha influito sul risultato. Stavolta, con una formazione sua, si ritrova nel gruppone. Ad ogni modo De Luca, diventato adulto nel Pci, è invecchiato abbracciando gli irriducibili avversari della giovinezza.

L’exploit di Italia Viva. Renzi, schierato con De Luca, ha conseguito qui il miglior risultato nazionale. La spiegazione va cercata probabilmente nei candidati, ben insediati nei rispettivi territori.

Il centrodestra. Caldoro ha risposto all’armata deluchiana con 5 liste, espressioni di partiti e movimenti. Il candidato del centrodestra non aveva la “sua” tradizionale lista, civica o di area. Una scelta strana, non decisiva ma penalizzante. Quanto ai partiti: Forza Italia si è squagliata, Fratelli d’Italia continua ad aumentare senza strafare. La Lega arretra notevolmente rispetto alle Europee, che però fecero segnare un exploit gigantesco. In realtà i salviniani guadagnano voti rispetto a tutte le altre prove.

Il Movimento 5 Stelle. I pentastellati confermano le debolezze contingenti e strutturali. Mentre continua la discesa vertiginosa avviata con le Europee del 2019, infatti, la serie storica dimostra che il soggetto grillino è poco competitivo nelle Regionali, un format caratterizzato dalle coalizioni. I pentastellati, neofiti delle alleanze nazionali, forse stavolta scontano il ripensamento del ministro Costa, che prima del lockdown sembrava il candidato ideale.

Alfonso Schiavino