«Rapine, il mio esordio nella criminalità»

Il racconto di un 17enne: «Quando mi hanno arrestato ne avevo fatto già altre, ma con questa ho chiuso»

Sono giovani ma hanno già un’esperienza criminale. È l’esercito dei minorenni salernitani (302 nel 2014) la cui fedina penale è stata macchiata da qualche reato e che potrebbero entrare a far parte di quella manovalanza della malavita che, sempre più spesso, sembra attingere tra gli adolescenti, perché più facili da formare alla “carriera”. E il dato più preoccupante, che allarma operatori del settore e forze di polizia, è che i piccoli boss fanno il loro esordio sul palcoscenico criminale non più attraverso reati minori, come avveniva fino a qualche anno fa. Ma il loro ingresso nel mondo delinquenziale avviene direttamente dalla “porta principale”, con rapine a mano armata o attraverso lo spaccio di stupefacenti. Il più delle volte cadono nella spirale perché spinti da problemi familiari e personali, ma anche in quanto vogliono emulare amici più grandi che “fanno i duri e sono rispettati da tutti”. È il caso di Matteo, 17 anni, salernitano “verace” come ama definirsi. Lui ha avuto a che fare con la giustizia per una storia di rapina a mano armata. Ma, confessa, che «non era la sua prima volta». Sicuramente, però, «è stata l’ultima», confida, in quanto la lezione gli è servita. «Ho seguito amici più grandi di me – spiega – e poi avere soldi in tasca, senza fare troppa fatica, è sempre bello». L’arresto, tuttavia, gli ha fatto comprendere cosa stesse facendo. È stato come svegliarsi da un brutto sogno «Mi sono reso conto di avere sbagliato – evidenzia – e ora voglio costruirmi un futuro lontano dai guai con la giustizia».

Matteo, come tanti altri minorenni salernitani, non ha conosciuto le patrie galere. Perché il Tribunale dei minori di Salerno utilizza la detenzione come ultima ratio. Si preferisce, infatti, evitare il carcere che può essere considerato l’università della criminalità. E adottare misure alternative, come quelle dei domiciliari, dell’affidamento in comunità o della “messa alla prova”, ossia un progetto sociale che si sviluppa assieme al minorenne e che va dai 3 mesi ai 3 anni. E se la “prova” si conclude senza intoppi, si estingue addirittura il reato. Probabilmente questo spinge la maggior parte dei baby criminali a cambiare strada, a tornare sulla retta via.

Anche Antonio, ora 18enne ma all’epoca in cui venne colto con le “mani nella marmellata” 16enne, adesso riga diritto. «Avevo cominciato a spacciare – ricorda – all’inizio quasi per gioco. Portavo le dosi in giro per la città, da un pusher all’altro. Poi ho deciso di allargare il mio giro. E tra i clienti avevo tanti ragazzini. Anche 13enni e 14enni. La mia carriera è durata fin quando non stato beccato dai carabinieri». «Da allora – assicura Antonio – ho messo la testa a posto e non ricadrò più nella tentazione».

Ma non tutte le storie sono a lieto fine. Perché c’è pure chi continua a delinquere, oppure ragazzi che dietro la loro devianza nascondono seri problemi psichici. È il caso di Marco (nome di fantasia), 17 anni, che è in cura in un centro d’igiene mentale. I problemi con la giustizia sono cominciati molto presto, e sempre a causa di atti che lo hanno portato a dover rispondere di lesioni personali. Marco adesso sta bene, assume psicofarmaci che sembrano frenare la sua naturale aggressività, figlia anche di una situazione familiare non idilliaca. Lui però vede il suo futuro “non roseo”, fin quando non avrà terminato la terapia. «Poi spero di guarire – conclude – perché così potrò lavorare e farmi una famiglia».

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