IL COMMENTO

Questione meridionale, non solo Terra dei fuochi

Il Rapporto nazionale 2016 sulle infrastrutture strategiche e le opere prioritarie, redatto a cura dalla Camera dei deputati, conferma la scelta – formalmente sancita con la recente riforma...

Il Rapporto nazionale 2016 sulle infrastrutture strategiche e le opere prioritarie, redatto a cura dalla Camera dei deputati, conferma la scelta – formalmente sancita con la recente riforma costituzionale – di emarginare il Mezzogiorno.

Da tale documento risulta, infatti, che il Governo ha individuato il perimetro della programmazione, e dei relativi interventi, in 611 sistemi locali ubicati prevalentemente nel Centro Nord.

In ognuno di essi sono state delimitate, sulla base d’indicatori socio-economici, le aree sviluppate e quelle meno sviluppate; e indicate le opere necessarie per metterle in relazione e superarne il divario. È stata applicata a queste mini aree la terapia che ha caratterizzato, per oltre un secolo, il rapporto tra la Bassa e l’Alta Italia. In tal modo, la questione meridionale è stata cancellata dall’agenda del Governo, con una presunta procedura modernista che è scandita da dati inoppugnabili.

Le opere strategiche sono ubicate per il 69 per cento al Nord, e il 31 nel Sud. Percentuale, quest’ultima, nella quale sono state contabilizzate anche scelte predatate: alcune sono degli anni Ottanta e Novanta, come la Salerno-Reggio Calabria.

Il cambio di linea appare, poi, in tutta la sua attualità nel comparto delle opere cosiddette non prioritarie, quelle deliberate dal Comitato di politica economica con criteri discrezionali e politici: sono per l’80 per cento localizzate al Nord.

A questo focus programmatico si connette un altro differenziale dovuto al sistema di appalto delle grandi opere. Delle quali sono egemoni due delle più grandi stazioni appaltanti d’Europa: l’Anas e le Ferrovie dello Stato che spendono oltre l’85 per cento del loro bilancio al Nord.

Non migliora di molto l’affidamento in concessione per servizi e forniture da parte dello Stato: le imprese meridionali vi sono coinvolte per circa il 20%. Inoltre, tale tendenza che è destinata ad aggravarsi perché il mercato dei lavori tradizionali, l’appalto a sola esecuzione, sta lentamente cedendo a favore degli affidamenti a contratti generali.

Tipologie complesse di grandi opere che integrano, in tutto o in parte, le attività di progettazione, (co) finanziamento, costruzione e manutenzione.

E ciò penalizza fortemente l’imprenditoria e le professioni meridionali, tradizionalmente individualiste, familiari e fuori dai circuiti dei grandi gruppi imprenditoriali associati.

Che cosa fare? Rendere imperativa la riserva per il Sud del 40%, per finanziamenti, concessioni e appalti, e promuovere una nuova cultura d’impresa e d’integrazione. Le Regioni meridionali dovrebbero fare di quest’obiettivo un motivo di lotta di sistema e non reclamare solo interventi tampone per emergenze e catastrofi, com’è avvenuto in Campania per sanità, rifiuti e Terra dei fuochi.

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