L'INTERVENTO

Quella violenza pervasiva che mina la quotidianità

di Alessandro Turchi

L’episodio è di pochi giorni fa, un bimbo nordafricano di 3 anni è stato preso a calci da un uomo nel centro di Cosenza, solo perché si era avvicinato al passeggino della figlia neonata. Una vicenda che ha visto, tutto sommato, una sommessa indignazione popolare, pur essendo connotata da violenza e razzismo, forse perché i nostri connazionali sono oramai abituati a vivere in una società in cui la violenza sembra essere il tratto più marcatamente distintivo. Sembra quella china irreversibile descritta efficacemente nel film “Chiedimi se sono felice” da Aldo, Giovanni e Giacomo, autori di una teoria, scontata ma non troppo. Se si mette una pallina su un piano inclinato la pallina comincia a scendere e, per quanto impercettibile sia l'inclinazione, inizia a correre sempre più veloce.

Fermarla è impossibile ma gli uomini, che per fortuna non sono palline, con un solo gesto, un’occhiata, una frase qualsiasi, possono fermare il corso degli eventi. A questo punto siamo, a dover sperare che qualcuno faccia qualcosa e riesca, con un gesto o con uno sguardo, a fermare questo mare di violenza, fisica e verbale, che sta dominando i nostri anni. Molti si meravigliano del linguaggio dei social e, in questi giorni, a ulteriore riprova, abbiamo anche assistito alla chiusura, per i contenuti violenti, di alcuni profili legati a gruppi di estrema destra. Ma non è solo internet, basta infatti assistere ad un qualsiasi dibattito politico, anche in Parlamento, e ci si rende conto che la violenza verbale dilaga senza frontiere ovunque, essendo saltate da tempo quelle del buon gusto o anche solamente quelle della decenza e del rispetto fra simili. Parolacce, epiteti, offese, frasi scurrili, dibattiti sul filo della denuncia, contenuti e filmati da galera, ci stiamo abituando a tutto e nessuno fa più una piega.

Un linguaggio, sia chiaro, che non è legato solo ai social, ma che in essi trova il veicolo più efficace, grazie anche ad una certa politica che fa della comunicazione semplificata l’arma per introdursi nel mondo dei cosiddetti analfabeti funzionali. Il problema è trasversale e non legato ad una età in particolare, ed è proprio questo che preoccupa di più, dato che gli adolescenti, più vulnerabili e con meno difese, sono continuamente esposti ad immagini e contenuti violenti, che spesso loro stessi condividono e divulgano.

Su Youtube girano filmati terribili, a volte recitati, a volte reali, comunque violenti all’ennesima potenza, ma soprattutto nella vita quotidiana si moltiplicano gli esempi, le imitazioni, i comportamenti che non tengono nella minima considerazione gli altri, l’educazione, la socialità, il rispetto. A volte c’è da avere paura a circolare in automobile, a guardare i ghigni sfrontati di chi taglia la strada, di chi attraversa, incurante del dove del come e del quando, con facce da delinquenti e occhi spiritati. È la violenza che ci avvolge e ci pervade, che impedisce discussioni serene, che non ci fa ascoltare l’altro, che non ci offre la possibilità di ragionare con la logica, quella che lusinga la nostra emotività. Il metaforico piano inclinato attende con grande impazienza che qualcuno lanci un’occhiata, dica una frase qualsiasi che possa aiutarci a fermare questa china infinita, che non sappiamo dove ci porterà.