Quell’Italia che combatte la crisi

A Castel San Giorgio il volume del sociologo Vincenzo Moretti sui valori antichi del lavoro

CASTEL SAN GIORGIO. Un tripudio dell’Italia che lavora, dell’Italia che con la passione e il cuore, ma soprattutto con la testa, vuole uscire fuori dalla crisi economica, sociale e culturale che la sta stritolando da più di un anno ormai, senza un’apparente soluzione. Un libro, “Testa mani e cuore”, del sociologo Vincenzo Moretti, e un film, “La tela e il ciliegio”, che si ispira al romanzo morettiano ed è firmato dal regista Alessio Strazzullo. Due opere che parlano di lavoro ben fatto e di approccio artigiano, di quanto sia importante, oggi più che mai, fare le cose per bene, per una netta riqualificazione della società italiana.

Due racconti che partono da Castel San Giorgio per offrire un approccio, un metodo all’Italia intera. Un libro ed un film, ma anche un blog, www.leviedellavoro.org, presentati lunedì scorso nella suggestiva cornice di Villa Calvanese Lanzara di Castel San Giorgio, dove hanno preso parte al dibattito Sabato Aliberti, Gennaro Cibelli, Francesco Longanella, Vincenzo Gae Moretti e Alessio Strazzullo. Presenti anche i protagonisti del film, l’ebanista Antonio Zambrano e il digital life coach Jacopo Mele.

Il punto di partenza del romanzo di Vincenzo Moretti, è un’inchiesta promossa dalla Fondazione Ahref e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, dal titolo “Le vie del lavoro”. Il volume, pubblicato per Ediesse, a metà tra romanzo e saggio, racconta l’Italia attraverso l’ottica del lavoro. La struttura è molto particolare. Si può infatti parlare di un racconto cornice che contiene dentro gli altri, come una moderna “Le mille e una notte”. Il rapporto fra due fratelli, lo scrittore Cosimo e Libero, malato di cancro, è il filo ideale che tiene insieme i sentieri che si biforcano nella narrazione e i diversi livelli di lettura delle singole storie. Libero legge ciò che Cosimo scrive e ritrova, in quelle parole, l’amore per la vita, le persone, i luoghi, le idee e, in primis, per il lavoro in tutte le sue forme. Da questo continuo dialogo tra i due, nascono venti racconti che hanno come centro “il lavoro fatto bene”. Le storie vengono narrate da una molteplicità di “io narranti”, non solo umani (una ferroviera, una sindacalista, un ingegnere e un professore). Anche gli oggetti, infatti, prendono parola con riflessioni sulla propensione all’eccellenza. Come ad esempio la storia della “cardarella”, il recipiente di metallo usato dagli operai per mescolare e impastare, che narra la vita dura ma onesta di due muratori italiani.

Il romanzo, tassello dopo tassello, compone un mosaico toccante sullo stato di salute del “mondo del lavoro” in Italia: anche nelle vicende degli italiani costretti a cercare lavoro all’estero, anche nelle storie di oggetti e luoghi. Dal libro è nato un docu-film, intitolato “La tela e il ciliegio”, in cui si affiancano due storie: quella dell’ebanista mastro Antonio e del giovane Jacopo Mele alle prese con il mondo digitale. Due mondi apparentemente lontani, ma che si incontrano nell’immagine incarnata dell’“Homo Faber”.

Davide Speranza

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