«Quel perdono il momento più toccante»

Montemurro racconta l’incontro in aula tra i familiari e il killer di Simonetta: «Una storia emoziante che va oltre il ruolo»

«È una storia che va al di là del ruolo professionale di magistrato. Tocca gli affetti, il senso della famiglia e la figura di padre, l’uomo più che il magistrato». Sono parole di Vincenzo Montemurro, magistrato lucano in servizio alla Dda di Salerno che sostiene l’accusa contro Antonio Pignataro, autoaccusatosi dell’omicidio di Simonetta Lamberti. Il procedimento si chiuderà col rito abbreviato l’8 gennaio prossimo, 32 anni dopo quel delitto avvenuto a Cava il 29 maggio 1982. «È stato un momento emozionante, toccante, quando al termine dell’udienza si sono trovati gli uni di fronte agli altri – Pignataro, la mamma e la sorella di Simonetta – in un incontro mutuato dalla presenza di Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera. Lì è scattato il perdono da parte dei familiari della bambina». Pignataro, estremista di sinistra negli anni Settanta, vissuto a Parigi e successivamente associato alle “batterie” della camorra, fu aggregato all’ultimo momento al commando che doveva assassinare il giudice Alfonso Lamberti, padre di Simonetta, scampato all’agguato. «Il padre ha rifiutato più volte di essere sentito nonostante i nostri ripetuti inviti – spiega Montemurro – confermando ancora una volta la tragedia familiare legata a un fatto atroce. In questa vicenda c’è una forte dimensione emozionale, nonostante il procedimento in senso tecnico si sia sostanzialmente chiuso con la confessione di Pignataro. Con riferimento al dottor Lamberti, personalmente vorrei conoscerlo: da padre, io non so cosa avrei fatto in una situazione così dolorosa e, quindi, non mi porrei nei suoi confronti come giudice. Le prime parole che gli direi sarebbero di non essere in grado di giudicarlo. La sua vicenda è difficile, a partire dalle indagini personali svolte nel suo ruolo di magistrato per avere risposte sul delittoper finire alla situazione personale e familiare che lo hanno toccato».

Le sorelle e la madre della vittima alla notizia della riapertura delle indagini si mostrarono scettiche. «Manifestarono incredulità – racconta Montemurro – non credevano si potesse arrivare alla verità. Poi si è instaurato un rapporto personale, di fiducia nel senso di giustiza del nostro lavoro, fino alla costituzione di parte civile al processo. C’è un esempio partito da quest’aula di giustizia perché sono ancora troppi i misteri che avvolgono analoghi casi processuali. Lo aveva detto con parole significative Don Ciotti. È un esempio anche Pignataro, completamente estraneo ai precedenti atti processuali. Credo che il suo sia stato uno dei pochi casi di vero pentimento, molto più che una collaborazione. Pignataro piangeva ogni volta che compariva una bimba in televisione. Noi lo abbiamo sentito dopo che ci era stata segnalata questa situazione dal suo compagno di reclusione: ci disse di andarlo a sentire, perché era pronto a liberarsi».

Restano oscuri il movente, il mandante e chi ha armato i vari componenti di quel commando, passati in questi anni a miglior vita. Il nucleo armato e decisionale non era processabile. Ma questa storia presenta un quadro certamente più delineato, con una verità giudiziaria che ormai è alle porte.

Alfonso T. Guerritore

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