Quei salernitani tra esilio, carcere e rivoluzione

La biografia dei salernitani schierati tra i Mille e imbarcatisi a Quarto

L’ultimo film di Mario Martone, Noi credevamo, ha suscitato giudizi controversi. Al di lá delle valutazioni storiche ed artistiche alcune scene emozionano: la fucilazione dei cilentani, il carcere di Montefusco e, soprattutto, il coro dei giovani garibaldini che la notte prima dell’Aspromonte cantano camicia rossa una delle più belle canzoni di quella epopea. Non a caso. A distanza di un secolo e mezzo, la corsa da Marsala a Palermo del Generale e dei garibaldini, resta uno dei pochi momenti della nostra storia capaci di parlare al cuore degli italiani. Il volontariato, la scelta di giovani e meno giovani di combattere per una causa senza ricevere la cartolina di leva, è uno di quei straordinari fenomeni del nostro risorgimento nazionale che merita di essere studiato e narrato. La storia del gruppetto di salernitani che partirono da Quarto con i leggendari Mille (che hanno ancora qualche orgoglioso discendente che conserva nei paesini della nostra provincia la medaglia commemorativa) serve così a comprendere un movimento più vasto e profondo. La provincia di Salerno partecipò attivamente a questo affascinante fenomeno. Ci furono 161 salernitani che andarono nel ’48 a difendere Roma e Venezia da francesi e austriaci (e almeno una dozzina ci morirono). Dopo l’Unitá troveremo Matina e Carrano tra gli ufficiali garibaldini della Terza Guerra d’Indipendenza, tanti altri a Digione nel ’70 e a Mentana nel ’67 (dove morì il giovane studente Domenico Vietri). Tornando al ’60, abbiamo giá incontrato i 4000 salernitani che si arruolarono nell’Esercito meridionale e combatterono nella campagna del Volturno. Erano stati preceduti dai nove partiti coi Mille da Quarto: Leonino Vinciprova di Omignano, Ovidio Serino di Mercato San Severino, Giuseppe Maria Pessolani di Atena Lucana, Vincenzo Padula e Antonio Santelmo, entrambi di Padula, Michele e Francesco Paolo Del Mastro di Ortodonico, Filippo Patella di Agropoli, Michele Magnoni di Rutino. La loro biografia era quasi una mappa delle drammatiche rivolte cilentane e un pezzo di storia del liberalismo meridionale. Uomini di paesi e territori lontani, portavano con loro complesse storie di militanza politica e di sette segrete, di congiure e vendette. I più giovani erano gli uomini della cospirazione mazziniana degli anni cinquanta. Vincenzo Padula e Michele Magnoni erano stati con Giovanni Matina i principali organizzatori della rete che aveva cercato di organizzare la Spedizione di Pisacane. Dopo un paio di anni in carcere avevano ingrossato l’esercito di emigrati meridionali in Piemonte. Più anziani, legati anche alle vicende politiche del 1848, erano gli altri. Antonio Santelmo, vecchio cospiratore, anche lui condannato per la Spedizione di Sapri. Poi i fratelli Del Mastro: poco più che ventenni parteciparono alle rivolte cilentane. Dopo il disastro dell’estate del ’48 finirono in mano alle forze di sicurezza borbonica. Però il Cilento non era mai sicuro per i fedeli di Ferdinando II. I loro amici li fecero evadere e, dopo un periodò in clandestinitá tra le montagne del Cilento, fuggirono a Genova e poi si ritrovarono sul Lombardo con Garibaldi. A fianco dei giovanissimi vi erano rivoluzionari storici. Filippo Patella partecipò alle insurrezioni del ’48. Fuggito a Roma, fu maggiore dei volontari nella Repubblica Romana e, dopo la resa di questa, emigrò a Torino. Anche un altro leader cilentano di quel drammatico biennio era con Garibaldi sugli spalti di Roma, Leonino Vinciprova.

• Da un’antica famiglia giunta alla terza generazione rivoluzionaria proveniva Giuseppe Pessolani di Atena Lucana. Dirigente di primo piano nel ’48, fallita la rivoluzione era stato alla macchia per un paio d’anni e poi catturato, condannato a morte e poi all’ergastolo. Fu nel gruppo di napoletani che, inviati dal governo borbonico in America, riuscirono a dirottare la nave e a sbarcare in Inghilterra, giungendo poi a Torino. Insieme a lui, sulla stessa nave c’era Ovidio Serino di Mercato San Severino (che era stato il commissario di guerra di Pessolani nell’ultimo sprazzo di rivoluzione quarantottesca). Era un piccolo gruppo, però rappresentativo di una coraggiosa èlite meridionale a cui tanto deve la costruzione dell’Italia. Tre erano preti (Padula, Serino e Patella), gli altri giovani studenti, piccoli proprietari o professionisti. Ora, nel maggio del ’60, portavano la camicia rossa e si imbarcavano con il Generale per la Sicilia. Quando furono formate le compagnie tra i Mille, i salernitani furono inquadrati nella terza, comandata dal calabrese Francesco Stocco. Sbarcati a Marsala iniziarono la corsa verso Palermo. A Calatafimi incontrarono i borbonici del Generale Landi e li cacciarono indietro. Il padulese Santelmo fu ferito durante una carica della cavalleria borbonica. Qualche giorno dopo, mentre Magnoni seguiva l’artiglieria garibaldina di Orsini, gli altri salernitani entrarono con il Generale a Palermo. Le lettere di Vinciprova raccontano i giorni terribili ed epici della battaglia per le strade, il ferimento e la morte di Michele Del Mastro. E’ impressionante il racconto che Vinciprova inviò al suo amico Mazziotti in Piemonte dell’agonia di Del Mastro (e dello stupore suo e di Santelmo quando Del Mastro, prima di morire, si era fatto confessare). La corsa dei garibaldini continuò. I salernitani parteciparono alla fine di luglio all’assalto di Milazzo. Nell’attacco Giuseppe Pessolani e Vincenzo Padula furono colpiti. Padula morì per le conseguenze della ferita qualche giorno dopo (e Garibaldi lo ricordò sempre come uomo di coraggio). La campagna di Sicilia era però finita con il trionfo dei garibaldini. Magnoni, Santelmo, Del Mastro e Vinciprova furono inviati dal Generale e preparare la rivolta nel continente. Fu il momento di gloria dopo tanti anni di fughe, carceri ed esili. Alla testa delle colonne rivoluzionarie sfilarono per i paesi del Cilento e del Vallo di Diano dove per anni avevano cospirato e combattuto.

• Il 5 settembre, con migliaia di insorti cilentani, accolsero a Sapri il Generale che arrivava dalla Calabria e lo seguirono su Sala e poi a Salerno. Nei giorni del governo garibaldino Santelmo dirigeva l’ufficio di arruolamento per i volontari, Vinciprova e Magnoni comandavano compagnie della Brigata Fabrizi e furono al Volturno e a Capua. Finita la Spedizione garibaldina i superstiti tornarono ai loro paesi. Santelmo, Magnoni e Pessolani a dare la caccia ai briganti e a guidare la politica locale. Tutti bene o male impegnati nella sinistra storica. Del Mastro, come l’eroe di Martone, seguì il Generale all’Aspromonte e nelle altre guerre degli anni sessanta. Patella fu preside di varie scuole e infine del Regio Liceo di Napoli. Vinciprova e Serino, più anziani si dedicarono progressivamente alle loro attivitá nei loro paesi. Eppure non poterono mai dimenticare la mattina del 7 novembre del 1860, quando il Generale, prima di partire per Caprera, appuntò le medaglie sul petto a quelli dei Mille che erano arrivati vivi a Capua. Nei piccoli paesi dove erano tornati poterono raccontare di aver fatto l’Italia.

* Docente di Storia
contemporanea
facoltá di Lettere e Filosofia
dell’Universitá di Salerno

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