Quei riti magici che sconvolsero la vita dei frati

La storia della comunità francescana di Amalfi I tesori: reliquie, incunaboli e cinquecentine

di p. Fiorenzo Mastroianni

Il convento di Amalfi fu fondato nel 1583. Non sappiamo chi fu il primo Guardiano, ma nel 1587 vi troviamo certamente P. Serafino da Casalduni, quando dovette intervenire contro l’usurpazione dell’acqua corrente del convento. E’ un Frate che bisognerebbe conoscere meglio, perché nel 1593, due anni prima di morire, scrisse direttamente al Papa Clemente VIII per darsi alla vita eremitica. Aveva delle riserve circa la vita cappuccina, di cui non volle parlare nemmeno col Cardinale Michele Benelli, pregandolo solo di consegnare al Papa la sua lettera e di ottenere quanto richiesto. Era un buon predicatore, e morì il 3 aprile 1505 nel convento della Concezione in Napoli.

È possibile azzardare l’ipotesi che il problema di P. Serafino fosse lo stesso di P. Valentino. Nel 1592, infatti, si trovava di famiglia nel convento di Amalfi un certo P. Valentino da Nocera (de Rogati), che si sentì in dovere di intervenire presso il Sant’Ufficio perché alcuni Frati del convento, a cominciare dal Guardiano, erano caduti in pratiche magiche. L’episodio sta a significare quanto l’Ordine e la Chiesa stessa vigilassero in quell’epoca sulle pratiche eterodosse. Non sappiamo chi era il Guardiano quell’anno, ma P. Valentino ne aveva informato il Provinciale e il Cardinale protettore Giulio Santori, e due Frati erano finiti in carcere, secondo quanto egli stesso narra. Con esattezza egli accusava i Frati di aver fatto “certi scongiuri… in trovar thesori”. Probabilmente si trattò di esagerazioni da parte di P. Valentino, che si sentì insoddisfatto per non aver visto punito il Guardiano, difeso dai superiori maggiori, e pertanto egli chiese al Cardinale Michele Benelli di portarsi a Roma per conferire a voce con lui. Non sappiamo il seguito. Ricordiamo solo che nel capitolo generale del 1552 furono redatti “Alcuni articoli da aggiungere alle Costituzioni”, e il numero 12 suonava: “Nessun frate s’intrometta a scongiurare spiriti”.

Nell’ultimo scorcio del secolo troviamo come Guardiano P. Stefano da Cerreto nel 1596 e ancora nel 1602, mentre nel 1605 è Guardiano nel suo paese natale. Era Lettore - cioè Docente - di Teologia, e tale lo troviamo nell’anno 1608. L’ultima notizia che lo riguarda lo dice Guardiano a Gaeta nel 1613, e risulta ancora in vita nel 1615. Il biografo suo contemporaneo lo dice “predicatore di mediocre talento ma buon letterato”, e come Guardiano mostrò sempre “molta prudenza e carità”, dando buon esempio a tutti. Morì appena 51enne da “santo religioso” nell’Infermeria della Concezione nel 1616.

P. VALERIO DA AMALFI. L’unico Frate nativo di Amalfi, che risulta Cappuccino nel Cinquecento è P. Valerio da Amalfi, il cui nome risulta ne “Lo libretto di frati morti scritto da P. Fra Paolo da Teano”. Morì infatti l’11 settembre 1593 nell’Infermeria provinciale della Concezione (Napoli), all’età di 35 anni e 10 anni di professione. Fu un “buon fraticello semplice”.

PREZIOSE PERGAMENE. I Cappuccini trovarono nell’Archivio della chiesa ben 409 - ma è più probabile il numero di 308 riferito da P. Gregorio, che le elencò personalmente - strumenti pubblici in pergamena “con altre antiche scritture appartenenti a monaci cistercensi” e furono conservate diligentemente fino al 28 gennaio 1599, quando furono pretese dall’Abate commendatario, al quale, secondo il Celentano, bisognava negarle. Scrive infatti questo cronista cappuccino del Settecento: “Ma l’anno 1599 l’abbate don Girolamo Robertino, romano, per parte dell’abbate commendatario li richiese con affettata violenza, rassegnando loro un atto publico di consegna, rogato per mano di notar Lonardo Antonio Miele di Napoli a 28 di gennaro 1599. Doveano i capuccini resistere, poiché le scritture si convenivano all’abbadia e non all’abbate, che è temporaneo, e doveano farsi forti con la città d’Amalfi e con i ministri regi di Napoli. E se ora si avessero questi publici istrumenti ed antiche scritture si potrebbe dar in luce per le stampe un gran volume de re diplomatica di que’ antichi tempi”. Prima di questa data, molti documenti erano conservati in una “cascia delle scritture antiche - dice il Tolosa - che sta nelle camere vecchie che primo se habbitavano”. Scipione Mazzella - nella sua Descrizione del Regno di Napoli (Napoli 1957, 26) afferma che P. Gregorio consegnò 309 pergamene a Don Girolamo Robertino.

LE PREZIOSE RELIQUIE. Il Celentano ricorda inoltre come all’inizio del Duecento furono portate dalla Siria ad Amalfi molte reliquie di santi - fra cui “il santo deposito dell’appostolo sant’Andrea” - date in dono alle chiese di Amalfi, e alcune anche alla chiesa di S. Pietro “detta di poi la Canonica d’Amalfi de padri Cisterciensi, ed ora chiamata la chiea de capuccini”. I Cappuccini “si adoperarono con Donna Giovanna Castriota, moglie di Don Alfonso Carafa, Duca di Nocera, e del figlio loro Don Pompeio Carafa, Duca di Noia, affinché si facessero adattare le medesime reliquie più decentemente, conforme già furono collocate in teste d’argento ed in cassette d’argento ed in vasi di cristallo, particolarmente il corpo di S. Caterina vergine e martire, la testa di san Basilio, ed altre insignissime reliquie”. La Duchessa ottenne in cambio delle spese sostenute e per sua devozione “un poco di fragmenti che nel levare la creta et legname fracido dove stevano, se ge fecero fragmenti”. Le “sante reliquie” erano esposte nella cappella chiamata sancta Sanctorum. Di esse fu fatto un inventario nel 1430 dal Notaio Angelo Di Balneo, e anche il Tolosa ne fece un suo “Inventario d’istrumenti”, e nella sacrestia c’era una Tabola appesa “con la nota singulare di tutte le dette sante reliquie”. Il Tolosa riporta un elenco di queste reliquie, fra cui “una goccia del sangue del Signore”, una “spina del Signore”, una crocetta “del ligno de la croce del Signore”, la testa di S. Giacomo il Minore, un braccio di San Filippo apostolo, una reliquia di S. Marco evangelista e una di S. Giacomo apostolo, la testa di S. Basilio, la mascella di S. Caterina ecc, oltre a una cassa di pietre della Terra Santa. Molte reliquie furono regalate a persone influenti, e lo stesso Viceré di Napoli Giovanni de Zuñiga, Conte di Miranda, essendosi portato nel convento dei Cappuccini nel 1585, alla presenza di tutti “se ne pigliò d’ogni sorte”.

L’Arcivescovo di Amalfi Giulio Rossini pretendeva di visitare la chiesa dei Cappuccini, e il Vicario generale ordinò varie volte al Provinciale di Napoli di dargli la chiave di un reliquiario della chiesa. Il Procuratore generale dei cappuccini ne informò la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in data 27 ottobre 1593, chiedendo di ordinare a detto Arcivescovo e Vicario “che non molestino più li frati capuccini per causa di questa visita”. La Congregazione ricorda a questi ultimi che i religiosi sono esenti “et non possono i vescovi visitare le chiese loro”, secondo le norme tridentine. Il Tolosa cita le Sessioni 7 De refornatione, cap. 8, Sess. 22 e Sess 25 capitolo 11, e rimanda anche alla sua Epitome di privilegi (Napoli 1594).

Le reliquie - dice il Tolosa - furono portate dall’oriente in quella chiesa dallo stesso Cardinale che ne diede una buona parte all’Arcivescovato, e persino nell’anno 1596 furono trovate in detto Arcivescovato “due cassette de reliquie delli medesimi santi”. Per il passato le reliquie stavano al sicuro perché l’Università possedeva ben due chiavi “per ritrovarsi presente quando bisogna aprire quella cancella”. Ma poi la stessa Università, avendo fiducia nei Cappuccini, consegnò loro tutte le chiavi. Ebbene, osserva amaramente il Tolosa, “a poco a poco” fu notato come essi per primi “per sé furtivamente se pigliavano di dette sante reliquie”, ma anche le regalavano alle famiglie amalfitane. E così l’Università si riprese le chiavi “con dissonore della religione nostra”.

E non sappiamo se il Provinciale dovette drasticamente intervenire prima o dopo il seguente episodio: nel giorno di san Francesco del 1596 fu riferito al Guardiano che un Frate stava per partire da Amalfi con una “gran quantità di reliquie pigliate da la ditta cappella”. Si trovava lì anche il P. Gregorio. Il Guardiano chiamò P. Gregorio e tutti gli altri frati della comunità e con loro penetrò nella cella di quel frate, trovandovi le preziose reliquie, compresa quella della santa croce. Solo allora poté partire per il convento della Concezione, dove in pubblico refettorio dovette accusarre la colpa e fu condannato a “sei mesi di caperone” (il capperone era un pezzo di stoffa dell’abito che veniva portato dai novizi legato al cappuccio e pendeva davanti al petto e dietro le spalle. La punizione simboleggiava un ritorno al noviziato da parte di un religioso professo).

I problemi continuarono ancora nel secolo seguente.

INCUNABOLI E CINQUECENTINE. È facile dire che i Frati Cappuccini, soprattutto nel primo secolo della fondazione dell’Ordine e nel secondo dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, non avessero eccessiva dimestichezza coi libri. Dedicheremo qualche puntata a tale tema. Ma certamente la Santa Sede, proprio a cavallo tra Cinque e Seicento (1598-1603), attraverso la Sacra Congregazione dell’Indice, si mostrò molto preoccupata delle letture dei religiosi in genere, chiedendo a tutti i conventi d’Italia, compresi quelli dei Cappuccini, un elenco completo dei libri conservati nelle loro biblioteche. Nel giro di 5 anni giunsero in Vaticano circa 15.000 fogli, un patrimonio enorme rimasto a lungo inesplorato presso il Palazzo della Cancelleria, e dal 1917 trasferito nella Biblioteca Vaticana, segnati Codices Vaticani Latini, numerati da 11266 a 11326.

Nel 1973 il professor Romeo De Maio analizzò il fondo e ne parlò ampiamente e approfonditamente, da par suo, nel libro “I modelli culturali della Controriforma”, additando al mondo della cultura l’esistenza di questo fondo poco noto della Biblioteca Vaticana. Dopo di lui, molti studiosi si sono dedicati, con impegno e risultati più o meno brillanti ma tutti tendenti a riportare alla luce del sole un materiale eloquente, che a sua volta fa luce sulla situazione culturale e spirituale di molti Ordini religiosi alla fine del Cinquecento. Nel 1985 Maria Maddalena Lébreton e Luigi Fiorani pubblicarono gli Inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cinquecento, che oggi vengono molto consultati.

Ma è stato soprattutto il professor Ugo Rozzo che, due decenni dopo il De Maio, ha dedicato molti studi al fondo suddetto, dal punto di vista dell’editoria italiana, della censura, dell’Indice, ecc. Tra i 60 codici del fondo c’è quello che elenca i libri delle Biblioteche dei Cappuccini della Provincia di Napoli, segnato Cod. Vat. Lat. 11325. Si tratta di un codice cartaceo rilegato in pergamena, con la seguente scritta sulla copertina: “Libri della Provincia di Napoli”. Sul dorso: “Index fratrum Minorum sancti Francisci Capuccinorum. 7276. numerus LXIII”. Sul frontespizio: “Libri / di tutti i luoghi de Frati Capuccini della Provincia di / Napoli / Ciascheduno da per se posto per alfabeto / con le cinque condizioni che si ricercano, vide licet / p.° il nome dell’Autore, 2. la materia, / 3. il luogo della stampa, 4./ il stampatore, et / 5. il millesimo. / Avertendo che dove manca qualch’una delle / predette cose, manca similmente nel proprio libro. / La Tavola de luoghi, con il numero del foglio, / sta nell’ultimo di questo volume. / Napoli”.

I Cappuccini di Napoli hanno dato il loro contributo di ricerca attraverso gli annuali Convegni storici e le riviste Studi e ricerche francescane e Rivista storica dei Cappuccini di Napoli. Segnaliamo infatti i seguenti contributi: Donatella Adami, Le più antiche biblioteche dei cappuccini: Napoli, S. Eframo Vecchio, in Srf 15(1986) 213-258: Antonietta Cosentino, Un catalogo cinquecentesco della biblioteca della Concezione di Napoli, in Studi e Ricerche Francescane 20(1991) 241-313. Inoltre: Genoveffa Gramaglia-Mariateresa Schiavino (a cura), Le cinque centine del convento “San Felice” in Cava de’ Tirreni, Salerno 1986.

Tra i 244 fogli numerati, quelli delle pagine segnate 148r-154v riguardano la Biblioteca del convento di Amalfi, che analizzeremo nelle prossime puntate.

(2 – segue)