Quegli angeli con la tuta color arancione

I volontari del 118 trascurano anche gli affetti e la vita privata per aiutare il prossimo che soffre

SALERNO. C’è chi lascia la fidanzata a casa, chi onora gli amici scomparsi o vuole solo aiutare il prossimo. C’è la speranza negli occhi di chi sceglie di diventare un volontario del 118. Mentre a casa ci sono coetanei che si godono la pensione, una serata tranquilla con la fidanzata o studenti che vanno al pub dopo una settimana piena di stress, loro mettono in secondo piano anche gli affetti più cari. Lo fanno per portare una parola di conforto a chi soffre, a chi in quel momento lotta tra la vita e la morte. Al Pronto soccorso del “Ruggi” i componenti degli equipaggi ormai si conoscono a memoria. Giovani e meno giovani sono impegnati con le varie associazioni: Croce Bianca, Humanitas, Misericordia e Avis. Con quelle tute arancioni cercano di essere gli angeli custodi del nuovo millennio. Un turno che dura otto ore e scivola tra corse folli in ambulanza, odore di cornetti e caffè, e attenzioni ai pazienti.

Alla sede Humanitas di via Trento il turno notturno del sabato inizia alle 23. «Essere volontario ti fa capire il senso della vita», ha raccontato Alfonso Mulignano, 58 anni, infermiere tra i veterani nell’associazione di Mercatello. «È fondamentale dare coraggio a chi chiama per chiedere aiuto e non andare mai nel panico. Il sabato è un bollettino di guerra. Io ne ho viste tante». A fargli eco c’è l’altro “saggio” del gruppo, Antonio Cammarano, 63 anni, infermiere dal 1980. Ha lasciato la moglie per stare con i suoi ragazzi, nonostante la famiglia gli chiede di rallentare un po’ il suo impegno. «Ma loro sanno che per me è una vocazione. Non posso mollare. Qui non si viene per soldi, visto che il rimborso spese non supera i 100 euro».

E nelle mille storie di chi combatte la morte ogni giorno c’è anche chi, svestiti giacca e cravatta, mette al servizio della comunità il suo giorno libero. «Guido l’ambulanza e ho iniziato a 14 anni a fare il soccorritore», ha detto il battipagliese Andrea Menna, imprenditore nel settore della plastica, che oggi di anni ne ha 30. «Ho iniziato per passione e ho continuato soprattutto dopo aver visto cinque amici morire per un incidente d’auto. A soccorrerli c’ero anche io. Per me è un modo di onorare la loro memoria». E poco importa se c’è da sacrificare l’uscita con la fidanzata: «Programmiamo la settimana e ci vediamo la domenica. Tutto si può fare».

C’è pure chi per amore ha lasciato il profondo nord. «Anche mio marito è soccorritore. Ci siamo conosciuti a Varese, dove sono nata, e ora viviamo qui», ha spiegato Sonia Bianchi, infermiera dal sorriso contagioso. «Ho iniziato dopo alcune vicende personali. Mio marito ha seguito la mia passione e adesso anche i miei figli lo fanno adesso. È un’esperienza che ti fa crescere».

La pensa così anche Adriano Aragona, 27 anni, commercialista ebolitano. «Sono sulle ambulanze da quando avevo 18 anni e adesso le guido», ha affermato. «Entriamo dove c’è dolore e disperazione e dobbiamo offrire tutta l’umanità di cui disponiamo. Non dimenticherò mai la morte di un uomo che ho soccorso ad Agropoli. Fu stroncato da un infarto, dovevamo trasportarlo a Vallo della Lucania ma la Statale era chiusa. Se l’ospedale non fosse stato chiuso si sarebbe salvato».

E tra una versione di latino e una di greco Daniele Vanacore non vuole saperne di divertirsi come i coetanei. A 15 anni, insieme alla fidanzata, ha fatto già una scelta di vita. «Voglio diventare infermiere e mi piace il giornalismo. Non voglio andarmi a sballare, voglio fare cose che occupino tempo importante nella mia vita».

C’è anche chi studiando fuorisede non perde di vista il primo amore, come Maria Rosaria Villani, 22 anni, di Pontecagnano, laureanda in scienze infermieristiche a Civitavecchia. «Ho iniziato nel 2010 e appena ho un po’ di tempo torno a casa per rendermi utile al prossimo. La mia famiglia mi vorrebbe più a casa quando rientro, ma in fondo sono contenti del mio impegno».

Volti, mani e storie che si intrecciano con altri colleghi incontrati in un turno di nove ore. Facce esauste ma contente come quelle di Antonio Barile, Elena Lualdi, Nunzia Perrino , Aniello Furno e Christian Stanzione, attivi alla postazione “Porto” dell’Humanitas. All’alba si fa la conta degli interventi e si sistema la modulistica. Soltanto il tempo di un caffè e poi a letto. Con la consapevolezza di aver reso il mondo un posto migliore.(d. g.)

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